Il mese di giugno sarà l’ultimo durante il quale la Banca Centrale Europea (BCE) continuerà a reinvestire le scadenze dei bond acquistati negli anni passati con il Pepp. A partire dal mese prossimo, i reinvestimenti saranno ridotti al ritmo medio mensile di 7,5 miliardi di euro. Il programma venne varato nel marzo del 2020 per reagire alla pandemia, tant’è che esso è acronimo per Pandemic emergency purchase programme. Rimase attivo fino al marzo del 2022. In quei due anni esatti, l’istituto arrivò a detenere asset per un controvalore nominale di oltre 1.660 miliardi.

Minori stimoli a taglio dei tassi avviato

Malgrado lo stop agli acquisti netti, il Pepp finora ha reinvestito i bond in scadenza, garantendo ai titoli di stato dell’Eurozona una domanda istituzionale stabile attraverso tale canale. Ora che l’inflazione nell’Eurozona è diventata un problema da contrastare, la riduzione degli stimoli monetari si fa pressante. Paradossale, tuttavia, che stia avvenendo contestualmente all’avvio del taglio dei tassi di interesse. La BCE sta inviando al mercato segnali contrastanti: da un lato abbassa il costo del denaro, dall’altro riduce la liquidità. Questa seconda mossa avrebbe dovuto essere adottata prima. Ma la riduzione del bilancio è tema sensibile per un’area alle prese con mercati disomogenei, così come svelano gli spread.

Tra luglio e dicembre, quindi, la BCE ridurrà gli acquisti di titoli del debito pubblico per complessivi 45 miliardi. A fine maggio, i BTp in pancia alla BCE tramite il Pepp ammontavano a quasi 289 miliardi su un totale di oltre 1.661 miliardi e per una quota del 17,4%. Tenete presente che la quota teoricamente spettante all’Italia sarebbe del 16%. E’ la regola del “capital key”, secondo cui gli acquisti di bond della BCE devono essere proporzionati al capitale posseduto da ciascuna banca centrale nazionale. Esso a sua volta dipende dalle dimensioni economiche degli stati membri.

Tuttavia, tale regola non si applica al Pepp, che rispetto al Quantitative Easing (QE) si rivela più flessibile.

Buco da 40 miliardi nel 2025

Ad ogni modo, più ci si allontana dalla quota teorica, maggiori le probabilità di limature nelle detenzioni per la volontà della BCE di accumulare sufficienti munizioni da utilizzare eventualmente nelle fasi critiche. Rispettando tali proporzioni, l’ammontare di BTp non rinnovati dalla BCE alle scadenze entro l’anno sarebbe di circa 8 miliardi. Un “buco” gestibile, tutto sommato, per il Tesoro italiano. Questi dovrebbe emettere fino a circa 500 miliardi tra Bot e BTp quest’anno.

L’entità dell’ammanco sarà ben maggiore nel 2025, quando la BCE cesserà del tutto i riacquisti con il Pepp. All’incirca le scadenze sarebbero intorno ai 225 miliardi. Di queste, BTp per un controvalore stimabile di quasi 40 miliardi. Tanta roba! Per questo lo spread italiano resta il più alto dell’area. I mercati scontano le maggiori difficoltà del Tesoro nel rifinanziare le scadenze e nel finanziare le emissioni nette. La Grecia non ha il nostro problema, dato che per oltre tre quarti del suo debito è esposta verso i creditori pubblici e non il mercato.

Meno Pepp, più investitori stranieri?

Tra Pepp e QE la BCE possedeva a fine maggio 679 miliardi di titoli di stato italiani, pari al 27,6% dell’intero ammontare in circolazione. Con il QE la quota spettante è rispettata: 15,9%. Addirittura, vi sarebbe persino qualche margine per aumentare le esposizioni verso l’Italia. Finora i maggiori acquisti delle famiglie italiane hanno compensato la minore domanda istituzionale attesa per i bond sovrani. Improbabile che questi ritmi possano reggere ancora a lungo. Qualche segno di stanchezza si è colto con l’ultima emissione del BTp Valore maggio 2030. Per fortuna stanno già tornando da mesi gli investitori stranieri. Con il calo dei rendimenti sui mercati “core”, a beneficiarne sarebbe particolarmente l’Italia, che offre i rendimenti più alti dell’Eurozona.

A meno che i mercati non colgano qualche segnale di rischio.

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