A distanza di 84 giorni dall’annuncio, la Federal Reserve ha comunicato ieri di avere iniziato a comprare corporate bond con il “Secondary Market Corporate Credit Facility”. Il programma prevede acquisti sul mercato secondario fino a 250 miliardi di dollari, mentre sinora la banca centrale americana era intervenuta per acquistare ETF obbligazionari per un importo complessivo di 5,5 miliardi. I nuovi acquisti saranno basati su un indice “composto da tutti i bond sul mercato secondario emessi da società con sede negli USA e che soddisfano i criteri minimi di rating e massimi di durata”.

Bond USA a rendimento zero? Ecco la possibile reazione dei mercati alla Fed

In dettaglio, la Fed potrà acquistare obbligazioni che abbiano avuto rating minimo “BBB-” o “Baa3” fino alla data del 22 marzo scorso, il giorno precedente all’annuncio. Esse potranno avere una durata residua non superiore ai 5 anni. La notizia era attesa da settimane, visto che finora l’istituto si era astenuto dal fare shopping di bond singoli, optando per la soluzione degli ETF, vale a dire passando per i fondi obbligazionari dalla gestione passiva, quelli che replicano l’andamento di un indice sottostante.

Adesso, resta da ottemperare all’annuncio di tre mesi fa di acquisti sul mercato primario fino a un massimo di 500 miliardi. Il programma verrebbe probabilmente implementato con particolare riferimento alle emissioni obbligazionarie sindacate. Alla notizia di ieri, il dollaro ha ripiegato contro le principali valute, perdendo circa mezzo punto percentuale verso l’euro, mentre sono saliti i rendimenti dei Treasuries, segnalando il maggiore appetito del mercato per il rischio e le vendite di “safe assets”.

Forte recupero dei bond USA da marzo

Accanto al SMCCF, la Fed ha anche comunicato l’attuazione del programma Main Street, che consiste in prestiti diretti alle imprese di medie e piccole dimensioni per importi minimi di 250.000 e massimi di 300 milioni di dollari.

Il budget qui sarebbe di 600 miliardi. Insomma, sostegno a tutto campo al corporate a stelle e strisce, quando già i rendimenti obbligazionari negli USA si sono grosso modo normalizzati, dopo il boom di marzo. I titoli con rating “junk” offrivano mediamente il 6,69% venerdì scorso, ai minimi da oltre tre mesi e segnando -470 punti base rispetto al picco. Va detto, però, che a febbraio avevano toccato un minimo in prossimità del 5%.

Molto bene il comparto “BBB”, quello qualitativamente più basso degli “investment grade”. Rendimento medio sceso al 2,82%, pressappoco nei dintorni pre-Covid, segnalando uno spread di poco superiore ai 120 punti base rispetto agli “AAA”, i bond emessi dalle società finanziariamente più solide, a loro volta nei pressi dei minimi storici per rendimento. In un certo senso, è come se l’effetto-annuncio di marzo fosse stato già scontato sui mercati, per cui il comunicato di ieri non dovrebbe incidere ulteriormente più di tanto sulle dinamiche del mercato obbligazionario americano. A meno che gli acquisti non seguano una logica diversa da quella sin qui “neutra” seguita con gli ETF, cosa che non dovrebbe essere, dato che la Fed ha chiarito che essi saranno basati su un indice “ampio”, cioè teoricamente seguendo proporzioni settoriali e di emittenti.

Corporate bond “spazzatura” meno rischiosi grazie alla Fed e le scadenze si allungano

[email protected]