A fine gennaio, Banca IMI ha emesso obbligazioni in euro a tasso fisso per un primo periodo e variabile per il restante fino alla scadenza (ISIN: XS2109438387). In particolare, questo bond corrisponde una cedola annua fissa lorda del 2,05% dalla data di emissione, cioè il 31 gennaio scorso, fino al 31 luglio del 2022. Per i restanti 7 anni e mezzo, vale a dire fino alla data del rimborso fissata al 31 gennaio 2030, la cedola diventa variabile e pari all’Euribor a 3 mesi + 0,70%. E’ stato fissato altresì un range minimo/massimo all’intero del quale potrà muoversi: la cedola non sarà mai inferiore a 0 e mai superiore al 2,05%.
5,05% annuo e 16,3% potenziale a scadenza con il Phoenix Memory di Banca IMU su ENI
Questo significa che qualora l’Euribor a 3 mesi dovesse superare l’1,80%, la cedola smetterebbe di seguirne i rialzi. Al contrario, se dovesse scendere sotto il -0,70%, non ne seguirebbe più i ribassi. Una garanzia per l’investitore, pur a fronte di guadagni limitati nel caso di rialzo dei tassi di mercato. L’aspetto interessante di questi titoli riguarda la loro quotazione attuale, sotto gli 85 centesimi. Questo significa che, nel caso in cui supponessimo che dopo il 31 luglio 2022 la cedola variabile fosse corrisposta sempre al massimo, rimanendo al 2,05%, il rendimento annuo medio si attesterebbe al 4,25%, mentre nel caso in cui la cedola si azzerasse per tutto il periodo successivo all’erogazione del tasso fisso, il rendimento medio sarebbe di poco inferiore al 2,45%.
Quali rischi reali
Sulla base dell’ultimo dato disponibile e riferito al giovedì scorso, l’Euribor a 3 mesi si attesta al -0,22%, per cui attualmente le obbligazioni di Banca IMI renderebbero la media annua del 2,70%, qualora il tasso “benchmark” rimanesse invariato a questi livelli fino alla scadenza, ipotesi altamente improbabile e che vi proponiamo solo a scopo dimostrativo. In ogni caso, anche ammesso che il mercato stia scontando tassi bassissimi a lungo, siamo di fronte a un rendimento appetibile per un decennale con rating “BBB” per S&P e Fitch e “Baa1” per Moody’s, pur in tutti e tre i casi con outlook “negativo”.
Il bond offre un rendimento a premio di oltre una settantina di centesimi come minimo rispetto al BTp di pari durata. Al netto della tassazione, però, il vantaggio si riduce a poco più di una trentina di centesimi su base annua. Al di là del rischio di credito, però, chi acquistasse questi titoli andrebbe incontro anche a un rischio di liquidità. A fronte dei 300 milioni di euro raccolti a fine gennaio, infatti, il trading al MoT di Borsa Italiana è stato ad oggi alquanto ridotto, per quanto in ripresa. A marzo, il controvalore di tutti gli scambi è stato di 10 milioni di euro, il 3,3% del totale, anche se già in meno di un terzo di mese in aprile risultano più che raddoppiati a 11 milioni. Sarebbe non facile rivenderli all’occorrenza e in questi casi si rischia di doversi accontentare di prezzi nettamente più bassi di quelli desiderati per stringere i tempi e trovare acquirenti disponibili.