I rendimenti sovrani e corporate hanno ripreso a salire da questa estate. Pensate che dai minimi di inizio agosto, il Treasury a 10 anni, che possiamo considerare un termometro del mercato obbligazionario mondiale, offre mezzo punto percentuale in più. Ma a poco sopra l’1,60%, resta di circa lo 0,50% meno generoso rispetto al 2019, anno immediatamente precedente alla pandemia.

E il problema consiste nel fatto che, stando ai calcoli di Bloomberg, basterebbe tornare ai livelli pre-Covid per scatenare un terremoto finanziario sui mercati.

L’indice relativo ai titoli di stato americani accuserebbe perdite per 350 miliardi di dollari con rendimenti di appena +0,50%. La stessa variazione applicata al Bloomberg Global Aggregate Index, cioè all’insieme delle obbligazioni sovrane e corporate emesse in giro per il pianeta, farebbe lievitare le perdite a ben 2.600 miliardi.

Rendimenti bassi e duration alta

Mezzo punto percentuale di rendimento in più può sembrare poco, ma il fatto è che partiamo da rendimenti bassissimi, spesso nominalmente negativi fino alle medio-lunghe scadenze e persino con riferimento a bond “spazzatura”. Tanto per capirci, ancora oggi il Bund a 30 anni offre meno dello 0,25%, per cui un rialzo dello 0,50% equivarrebbe a triplicare il proprio rendimento attuale. E con la pandemia, le banche centrali hanno azzerato i tassi e iniettato maxi-liquidità sui mercati, provocando il tracollo dei rendimenti lungo le curve, spingendo gli obbligazionisti ad aumentare la “duration” dei loro portafogli.

Per “duration” s’intende la durata finanziaria media di un titolo. In soldoni, essa cresce con scadenze più lunghe e/o cedole più basse. E offre una misura di sensibilità del prezzo alla variazione dei rendimenti sottostanti. In parole povere, l’intero mercato globale è stato indotto ad aumentare la propria esposizione ai rischi. Il rialzo del costo del denaro non sarà verosimilmente repentino, ma forse ben più marcato nel tempo rispetto al mezzo punto sopra ipotizzato.

Dunque, saremmo alla vigilia di un bagno di sangue sui mercati dei bond.

Bisogna ammettere che lo si dice da anni, senza che ciò sia effettivamente avvenuto. Anzi, è accaduto il contrario ancor prima della pandemia. Tuttavia, adesso c’è una novità a fare la differenza: l’inflazione. Finché essa non si materializzava, le banche centrali potevano calciare il barattolo all’infinito. Con il suo ritorno, il gioco cambia. Non possono fingere a lungo di niente, quando negli USA è salita al 5,4% e nell’Eurozona al 3,4%. Il rialzo dei tassi non sarà pure immediato, ma il mercato inizia a scontarlo. E quando arriverà davvero, i prezzi dei bond accuseranno un ulteriore colpo.

[email protected]