La Turchia ha appena concluso l’emissione di un bond in dollari per 2,25 miliardi. Scadenza 2029, presenta una durata iniziale di sei anni e offre cedola fissa lorda annuale del 9,50%. E’ stata la prima volta che Ankara si è rivolta ai mercati internazionali dopo essere stata colpita dal devastante terremoto di febbraio. Con 214.000 edifici crollati e 46.000 morti, il bilancio è stato pesantissimo per il paese.

L’emissione del bond in dollari è avvenuta in una fase già delicata di suo ancora prima del sisma.

L’inflazione sta decimando il potere di acquisto dei turchi. Nei mesi scorsi, ha raggiunto il picco di oltre l’85%. La banca centrale, anziché alzare i tassi d’interesse per frenare la crescita dei prezzi al consumo, su pressione del presidente Erdogan li ha tagliati più e più volte, portandoli all’8,5% attuale. In base ai dati sull’inflazione di febbraio, i tassi reali risultano adesso del -47%, i più negativi al mondo.

L’assurda politica monetaria pretesa da Erdogan ha messo pressione chiaramente anche alla lira turca, che dall’autunno del 2020 perde il 58%. Il suo tasso di cambio è sostenuto dalla banca centrale, incurante dell’azzeramento delle riserve valutarie. Al netto di debiti e operazioni swap, queste sono negative. Ciò fa capire perché i CDS a 5 anni siano molto costosi: 544 punti. In pratica, bisogna pagare il 5,44% del capitale per garantirlo dal rischio default.

Bond Turchia giù con crisi lira

Non è il debito pubblico in sé a spaventare il mercato. Era al 42% del PIL nel 2022. Fa paura proprio il collasso della lira turca, che innalza il peso dei debiti in valute forti sia dello stato che del settore privato. E le scarse riserve valutarie lasciano temere una crisi della bilancia dei pagamenti nei prossimi anni. Ad ogni modo, il bond in dollari della Turchia è stato emesso nelle scorse ore a premio di circa 525 punti base o 5,25% sul T-bond americano di pari durata.

Spread importante, ma ancora lontano dal territorio di stress.

Per la ricostruzione nelle aree terremotate serviranno diverse decine di miliardi di dollari. Alcune di queste saranno prese in prestito sui mercati domestici e internazionali, per il resto Erdogan punterà su partnership e accordi bilaterali. Questo dato aumenta le incertezze sulla sostenibilità del debito sovrano turco, i cui rating sono “non investment grade”: B per S&P e Fitch, B3 per Moody’s. Non ultimo, a maggio si andrà a votare per le elezioni presidenziali e stavolta Erdogan rischia seriamente di perdere. I sondaggi assegnano all’unico sfidante Kemal Kiricdaroglu il 55% dei consensi.

Il candidato avversario, che riunisce sotto di sé ben sei partiti, promette di ridare forza alla lira turca, di tutelare l’indipendenza della banca centrale e di smantellare l’accentramento dei poteri nelle mani del capo dello stato. In teoria, una simile prospettiva sarebbe beneficia per la valuta emergente e gli stessi bond della Turchia. Ma dopo un ventennio erdoganiano, le incertezze prendono per il momento il sopravvento. Soprattutto, il presidente uscente accetterebbe pacificamente un’eventuale sconfitta?

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