E’ la caccia al rendimento che a volte ti frega. Ne sanno qualcosa coloro che negli anni passati si erano messi alla ricerca di obbligazioni sui mercati emergenti per sfuggire ai rendimenti negativi o, comunque, anemici offerti sui mercati avanzati. E il caso del bond dell’Ungheria in valuta locale lo dimostra. Era il gennaio di due anni fa, quando le banche centrali principali tenevano ancora i tassi di interesse a o sottozero. Ciò valeva per la stessa Budapest, sebbene il costo del denaro risultasse superiore già allora a quello fissato dalla Banca Centrale Europea.

Il Tesoro emetteva un titolo di stato in fiorini della durata di dieci anni, scadenza 24 gennaio 2032 e cedola 4,75% (ISIN: HU0000405550). Oggi, sembrerebbe poca roba. Allora, però, il confronto si aveva con un BTp a 10 anni all’1,30% e un Bund con rendimenti negativi.

Mettiamoci nei panni degli investitori dell’Area Euro: perché continuare a finanziare i governi dell’unione monetaria così avidi, quando altrove si trova di meglio? E il bond dell’Ungheria non era certo considerato a rischio di credito: rating BBB per S&P (oggi è BBB-) e Fitch e Baa2 per Moody’s. Giudizio “investment grade” per un emittente non troppo indebitato (al 75% del PIL) e in forte crescita economica da decenni.

Forte perdita effettiva dall’emissione

Il bond dell’Ungheria fu emesso per quasi 912 miliardi di fiorini, che al cambio di allora corrisposero a circa 2,5 miliardi di euro, sopra la pari: prezzo di 101,94. Dunque, il rendimento iniziale risultò inferiore a quello cedolare. A distanza di due anni quasi esatti dal giorno dell’emissione, abbiamo che questo titolo tratta sul mercato secondario sui 93 centesimi, offrendo un rendimento lordo alla scadenza del 6,50%. Anche stavolta siamo dinnanzi ad un premio sul BTp di pari durata nell’ordine dei 300 punti base.

Ebbene, in questi primi due anni com’è andato l’investimento? Il prezzo, come detto, è precipitato di quasi il 10%.

Considerate le cedole e l’evoluzione del tasso di cambio contro l’euro, in portafoglio ci ritroveremmo con un capitale di quasi 119 euro per ogni lotto minimo di 500.000 fiorini. Cedole incluse, avremmo percepito con l’ipotetica rivendita odierna un ricavo complessivo di poco superiore ai 130 euro. Peccato che ne avremmo spesi due anni fa sopra 142 euro. In questo frangente, il cambio ha perso il 10,5%, portandosi a circa 389 contro l’euro. La perdita sarebbe stata di quasi il 9%.

Bond Ungheria esposti a rischio di cambio e politico

A dicembre, l’inflazione in Ungheria era scesa al 5,5%, pur sempre quasi il doppio del 2,9% dell’Area Euro. E la banca centrale ha iniziato a tagliare i tassi, portandoli al 10,25%. Ciò ha contributo a far risalire le quotazioni del bond decennale di oltre il 15% tra fine dicembre e metà gennaio. Le prospettive a breve e medio termine saranno anche positive, inflazione permettendo, ma il rischio di cambio incombe ugualmente. Un eventuale allentamento monetario più robusto rispetto alla BCE indebolirebbe il fiorino rispetto alla moneta unica, deprezzando il capitale e le stesse cedole corrisposte alle prossime scadenze.

Il rischio politico non è da meno. Il governo di Viktor Orban è in totale distonia con i vertici dell’Unione Europea sullo stato di diritto e, ultimamente, sulle relazioni con la Russia di Vladimir Putin. Bruxelles ha già “congelato” temporaneamente i fondi di coesione elargiti a Budapest e che tanto hanno contribuito alla sua crescita economica nell’ultimo ventennio. Da notare, infine, che il fiorino tende a perdere terreno contro l’euro a ritmi accelerati negli ultimi anni rispetto al lungo termine. Indizio forte di quanto male gli stiano facendo le tensioni politiche.

[email protected]