Salve dott. Timpone, vorrei porle una domanda, ipotizzando che la riforma sul premierato superi il referendum, mi auguro di no, che succede ai titoli di stato nel caso di una crisi dello spread? A cavallo del 2009/2010 avevo acquistato diversi titoli, al 5% con scadenza 2039 e 2040 e al 5,25% scadenza 2029, prezzi di acquisto intorno a 103/104 centesimi. Con la crisi del 2011, spread a 575 la quotazione precipitò ad 80 centesimi circa. Con il governo Monti, piano piano la quotazione risalì e, dopo un tale spavento, li ho rivenduti a 125 centesimi circa. Se avessi avuto nervi più saldi, avrei potuto rivenderli alla BCE, con i rendimenti sottozero a quotazioni di 150/160!!! A saperlo che sarebbe arrivato il QE! Col premierato tutto ciò non sarebbe stato possibile, i governi populisti fanno molta fatica a prendere misure impopolari! Abbiamo visto di recente cos’è successo con la questione del redditometro. Vedendo Giorgetti all’opera, lo scorso anno ho ripreso un pò di BTP, però, se passa la riforma del premierato, il mio istinto mi spinge a vendere. 
In qualche vostro articolo ho letto delle catene produttive che si accorciano, il che comporta inflazione più alta, tasso neutro più alto e maggiore spesa per il nuovo debito. È stato un grave errore aprire alla Cina, se invece avessero aperto nei confronti dell’India, magari la Cina si sarebbe “occidentalizzata” un pò di più. Adesso, invece, mette in discussione la supremazia degli USA, minaccia di invadere Taiwan, ha stretto i rapporti con Vladimir, un “capolavoro” geopolitico!
Ho letto pure che Macron vorrebbe una BCE col doppio mandato, tipo la FED, col target sull’inflazione più alto, visti gli investimenti per la transazione energetica. Tutte notizie “rassicuranti” per il debitone che veleggia verso i 3000 miliardi! Se l’UE emette titoli, per finanziare la transizione, per piazzare i BTP sul mercato, a quali tassi bisogna collocarli? Ma dalle parti di palazzo Chigi, ci pensano a queste problematiche? Li vedo sempre impegnati in una campagna elettorale permanente. Rimpiango gli esponenti politici della prima repubblica, magari avessimo oggi uno come Bettino Craxi!

Titoli di stato e riforma premierato

Questa è una email interessante inviataci qualche giorno fa da un lettore e investitore, che ci costringe a interrogarci sul possibile legame tra riforma del premierato e titoli di stato.
Il Parlamento è impegnato a discutere della revisione della Costituzione nella parte in cui si disciplina il funzionamento delle istituzioni elettive.
Il centro-destra al governo punta sull’elezione diretta del premier con il rafforzamento dei suoi poteri. Egli o ella non potrebbe più essere sfiduciato/a e rimpiazzato/a, se non da altri parlamentari. L’obiettivo consisterebbe nel garantire un orizzonte di legislatura a chiunque vinca le elezioni politiche. Insomma, l’agognata stabilità di cui parliamo da decenni.
Il lettore pone in evidenza che l’impatto della riforma rischia di essere negativo sui titoli di stato. Per quale ragione? Non sarebbero più possibili governi “tecnici” nel caso in cui dovesse esplodere una nuova crisi dello spread. E poiché i governi politici si sono rivelati fiscalmente irresponsabili – il suo ragionamento – non ci sarebbe più alcun ombrello sotto cui riparare i BTp nel caso di pioggia.

Debito pubblico alto male italiano

Il tema è complesso. Iniziamo con un dato di fatto: la riforma del premierato è in itinere e sarà probabilmente soggetta a qualche modifica da parte della stessa maggioranza. Il sottoscritto non nasconde alcune perplessità “tecniche” sul tema. Sarebbe stato preferibile optare per un sistema direttamente (semi-)presidenziale o un cancellierato alla tedesca. Ad avviso di chi scrive, il rischio consiste nel modificare la forma e molto poco la sostanza. Detto questo, andiamo al cuore della questione. Se i titoli di stato italiani sono tanto bistrattati nei momenti di crisi, è perché abbiamo un elevato debito pubblico.
E’ sceso al 137,3% del Pil nel 2023, ma resta il secondo più alto in Europa dopo la Grecia.

Governi tecnici anomalia italiana

Perché abbiamo accumulato così tanto debito? Abbiamo governi che durano poco, tant’è che ne abbiamo avuti 68 in era repubblicana, cioè in 78 anni. La media schizofrenica di quasi uno all’anno. Un orizzonte temporale così corto non consente a nessuno di programmare un’azione efficace a sostegno dell’economia e in politica estera. E deresponsabilizza tutti, dai partiti ai singoli ministri. La spesa pubblica si dilata senza controllo e i debiti si accumulano. Qualsiasi riforma che porti un minimo di stabilità politica, farebbe bene al sistema Italia. Indirettamente, anche ai titoli di stato.
Quanto all’impossibilità di formare governi tecnici, ammesso che fosse così, dobbiamo ammettere che questi sono stati l’anomalia tutta italiana nel panorama internazionale. In nessun altro paese al mondo vengono chiamati a guidare l’esecutivo ora governatori centrali, ora professori universitari al posto dei politici. E non è che abbiano migliorato granché le cose quando si sono messi all’opera. Accanto a qualche riforma impopolare e necessaria – vedi la legge Fornero nel 2011 – poca roba. Anche perché in Parlamento ci sono sempre i politici. E lo spread arrivò ai massimi in era euro sotto il governo Monti, indietreggiando solo dopo che la Banca Centrale Europea di Mario Draghi pronunciò il whatever it takes.

Stabilità politica necessaria

Con la riforma del premierato o qualsiasi revisione costituzionale al suo posto dagli obiettivi simili, i politici sarebbero inchiodati alle loro responsabilità. Avendo tutto il tempo possibile per governare, non potrebbero cavarsela trasferendo ipocritamente e transitoriamente i poteri a qualche tecnico scalpitante. Il vero problema sarebbe un altro: siamo sicuri che sia questa la riforma necessaria per ottenere stabilità politica? Ad essere sinceri, già in questi anni la stiamo avendo con il governo Meloni, così come vi fu grosso modo sotto Silvio Berlusconi, salvo il periodo finale.
Pur con le regole attuali, la relativa compattezza del centro-destra ha offerto maggiore stabilità. Non secondaria, tuttavia, è la legge elettorale. Siamo l’unico paese al mondo a cambiarla ad ogni tornata.
I titoli di stato per reggere sul mercato hanno bisogno di responsabilità fiscale, governi duraturi e crescita economica. Le tre cose sono intrinsecamente legate tra loro. Lo spread è ai minimi da anni con un governo politico e guidato da Giorgia Meloni, scontando una crescita del Pil sorprendentemente positiva nel confronto europeo, pur in assoluto modestissima, una stabilità che non si vedeva da tempo a Roma e una politica fiscale più prudente di quanto lasciassero immaginare certe promesse elettorali. Questo conferma che il discorso non è tanto di comprare BTp quando c’è aria di governo tecnico, bensì quando il sistema nel complesso segnala di funzionare in maniera “normale”.

Titoli di stato, contano i fondamentali

In definitiva, la riforma del premierato può o non può piacere, com’è normale che sia in democrazia. Non sembra quella svolta epocale che il centro-destra aveva promesso con la prospettiva di un sistema d’impronta presidenziale. Il rischio di pasticciare è alto, ma l’impatto sui titoli di stato sembra non esservi fintantoché la riforma non dovesse sfociare in tensioni nello stesso governo. Lasciamo fuori la politicizzazione e ragioniamo sempre in base ai soliti e noiosi fondamentali: deficit, debito, crescita. Conditi dalla stabilità politica, un valore di per sé non sufficiente, ma certamente necessario. E speriamo non manchi negli anni futuri, che si preannunciano “caldi” e pieni di insidie sul fronte geopolitico.
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