Rendimenti in forte rialzo per gli Oat a 10 anni, saliti sopra il 3,20%. Avevano chiuso al 3,10% venerdì scorso. I titoli di stato francesi accusano il colpo sullo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte del presidente Emmanuel Macron dopo la pesante sconfitta rimediata alle elezioni europee di ieri. L’Eliseo vuole impedire che il Rassemblement National di Marine Le Pen conquisti la presidenza nel 2027 e cerca di ricreare quel cordone sanitario contro la destra nazionalista, sfruttando lo choc seguito ai risultati nelle scorse ore.

Quale che sia il suo reale obiettivo, Parigi rischia un nuovo round di declassamenti del rating.

Titoli francesi da poco declassati da S&P e Fitch

A pochi giorni dalle elezioni europee, S&P aveva declassato i titoli di stato francesi di un gradino ad AA-. Lo stesso giudizio in aprile era stato assegnato da Fitch e, secondo alcuni analisti, questione di tempo prima che anche Moody’s lo tagli da Aa2. I conti pubblici non vanno bene. Le stime di S&P parlano di un deficit fiscale al 3,5% del Pil nel 2027, anno in cui Macron lascerà la presidenza e quando il governo ritiene di riuscire a riportare il disavanzo sotto il limite del 3%. Come l’Italia, la Francia subirà l’apertura della procedura d’infrazione il 19 giugno prossimo per deficit eccessivo.

Fiducia dei mercati non più scontata

I titoli di stato francesi non godono più da tempo del rating tripla A, anche se restano tra i più solidi al mondo, come ha correttamente osservato il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire. Essi hanno goduto per molti anni di una fiducia accordata dai mercati alla capacità di Parigi di rimediare ai propri problemi di natura strutturale. L’agenda delle riforme di Macron ha allontanato sin dal 2017 l’ombra dei declassamenti e lo spettro del risucchio tra i Pigs.

Tuttavia, complice la pandemia, poche riforme sono state realizzate. L’anno scorso è stato dato il via libera alla impopolarissima riforma delle pensioni, probabile causa principale del forte dissenso interno verso il governo.

La Francia non ha, però, risolto i propri problemi. Detiene un cronico disavanzo delle partite correnti, esporta meno di quanto importa e l’anno scorso la sua spesa pubblica risultava superiore al 57% del Pil, lo stesso livello trovato da Macron in eredità nel 2017 e tra i tassi più alti al mondo. Dopo le elezioni anticipate del prossimo 30 giugno, il rischio per i titoli francesi consiste nel ritrovarsi privi di quella fiducia di cui hanno goduto sinora.

Tra instabilità politica e “coabitazione”

Le probabilità che vinca il partito di Le Pen sono alte, così come che l’esito porti a instabilità politica. In Francia non sono nuove le cosiddette “coabitazioni” tra Eliseo e Palazzo Matignon. Presidente e premier di colori politici differenti ce ne sono stati, come negli anni Ottanta tra François Mitterand e Jacques Chirac o tra il 1997 e il 2002 tra Chirac e Lionel Jospin. L’ultima esperienza segnalò i limiti del sistema transalpino. Si parlò di Francia bifronte, si assistette a un governo che faceva e diceva una cosa e un presidente che faceva e diceva altro. Fu un periodo infelice per Parigi e la sua credibilità all’estero.

Cosa accadrebbe ai titoli francesi, se avessimo un governo contrario alle politiche di austerità necessarie per risanare i conti pubblici, mentre l’Eliseo spingerebbe verso tali soluzioni? O se il governo non avesse una maggioranza parlamentare per farsi approvare la legge di bilancio? Le agenzie di rating passerebbero ai fatti. Seguirebbero ulteriori declassamenti e ciò farebbe male anche ai BTp. La Francia è la seconda economia più grande dell’Unione Europea. Se il suo debito è giudicato più rischioso, anche le emissioni comuni ne risentirebbero.

Ci riferiamo, in particolare modo, ai cosiddetti Eurobond.

Titoli francesi a rischio speculazione

Se i titoli francesi fossero colpiti dalla scure delle agenzie e dalle conseguenti vendite dei mercati, il clima di tensione porterebbe verosimilmente alla fuga dei capitali verso bond “core” come i Bund tedeschi. Gli spread si allargherebbero e, a quel punto, scatterebbe forse l’allarme alla Banca Centrale Europea (BCE) per mettere in sicurezza il mercato sovrano dalla speculazione internazionale. Ma con una lotta contro l’inflazione tutt’ora in corso, fino a quanto si potrebbe spingere Francoforte nell’iniettare liquidità sui mercati? Ecco tornare in mente le parole pronunciate da Macron nei giorni scorsi: la BCE deve tollerare un maggiore tasso d’inflazione. Che sia stato tristemente profetico?

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