Non è più un mistero per nessuno che i rendimenti sovrani italiani stiano impennandosi ai massimi da quando il premier Mario Draghi si è insediato. Quello che molti di noi continuano ad ignorare è che i titoli di stato della Grecia stiano offrendo oramai rendimenti inferiori lungo la curva. Giovedì, il BTp a 10 anni rendeva circa l’1,08% contro l’1,05% dell’omologo bond di Atene. Non è la prima volta che ciò accade. Già negli ultimi mesi del 2019 abbiamo iniziato ad assistere a tale fenomeno con l’azzeramento dello spread tra i due paesi.

E il divario a favore dei titoli della Grecia si amplia sul tratto lungo della curva. Ad esempio, ieri il BTp a 20 anni offriva quasi l’1,80%, in Grecia l’1,40%. Certo il “benchmark” ventennale sul mercato ellenico ha scadenza nel 2037, 4 anni prima del nostro. Ma se prendiamo come riferimento il bond a 25 anni, offriva l’1,55%, ancora un quarto di punto in meno del nostro BTp a 20 anni. Sulla scadenza a 30 anni, si va al pareggio: 2,09% contro il nostro 2,07%. Non che sul tratto medio-breve le cose siano messe meglio: il BTp a 5 anni offriva ieri lo 0,31%, 4 punti base in più del concorrente greco.

Eppure, la Grecia è un paese fallito e reduce da ben tre salvataggi internazionali in pochi anni. Al contrario, l’Italia ha al timone da febbraio l’ex governatore BCE, stimatissimo dai mercati. Non solo. Per quanto altissimo, il nostro debito pubblico in rapporto al PIL si attesta su oltre 40 punti percentuali in meno. In Grecia, supera già il 200%. Ciliegina sulla torta: se è vero che i BTp vantano rating medio-bassi e a ridosso dell’area “junk” o “spazzatura”, i titoli della Grecia sono già tali.

I punti di forza dei titoli della Grecia

Tutto vero, ma Atene vanta alcuni punti di relativa forza. Anzitutto, a fine 2020 l’80% dei suoi 374 miliardi di euro di debito erano in mano ai creditori pubblici.

Questo significa che gli investitori possedevano qualcosa come 75 miliardi di debito ellenico, mentre in Italia lo stock dei 2.651 miliardi a fine marzo è quasi interamente in mano ai privati. E ciò fa la differenza. Qualora la Grecia dovesse vivere nuove convulsioni fiscali, avrebbe modo di superarle rinegoziando il debito contratto con i governi europei e il Fondo Monetario Internazionale, quest’ultimo ormai per una percentuale insignificante. Gli obbligazionisti hanno già dato con la ristrutturazione del 2012. Eventuali nuove perdite a loro carico appaiono remote.

E vogliamo parlare della durata media dello stock? 7,4 anni in Italia, 19,4 in Grecia. Poiché per i quattro quinti i creditori di Atene sono istituzioni pubbliche, queste hanno concesso condizioni molto convenienti al paese per consentirgli di restituire molto gradualmente i prestiti ottenuti. Per questo, molto più difficile che la Grecia subisca contraccolpi immediati per la sostenibilità del suo debito da una crisi come quella in corso. Resta il fatto che l’Italia al 31 marzo scorso riusciva a indebitarsi allo 0,31%, la Grecia nel 2020 lo fece all’1,72% medio. Ma tale differenza dipende ancora una volta dal fatto che le emissioni di titoli della Grecia siano state di recente molto contenute. Il paese dispone di oltre 30 miliardi di liquidità, una cifra corrispondente a quasi una ventina di punti di PIL. Una garanzia per i creditori da qui ai prossimi anni. Tant’è che ad aprile S&P ha alzato il rating da BB- a BB con outlook “positivo”.

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