E’ un pessimo momento per i nemici di Vladimir Putin. Il Cremlino ha potuto stappare un’altra bottiglia di vodka mercoledì sera, quando ha appreso della caduta del secondo governo europeo nel giro di pochi giorni. Dopo il britannico Boris Johnson, anche Mario Draghi prepara le valigie in quella che sembra essere diventata una gara a chi va via più dalla guida della nazione. E la Francia di Emmanuel Macron si ritrova da circa un mese con un’Assemblea Nazionale senza maggioranza certa.
La crisi dell’Occidente
Detto in parole molto semplici, la Russia ci ha appena inviato un messaggio di guerra e i nostri governi si sono girati dall’altro lato, fingendo di non avere capito. L’Occidente versa in una profonda crisi economica ed esistenziale. Se Gazprom non riaprirà il gasdotto Nord Stream 1, l’Europa resterà a corto di gas. Si prefigura un inverno con razionamenti energetici e un’inflazione in ulteriore accelerazione, anziché in calo. Intanto, l’economia si avvicina alla recessione. Il PIL rallenta già la crescita, ma il peggio arriverebbe nei mesi prossimi, quando i governi si ritroverebbero a scegliere tra fornire il gas alle famiglie per riscaldarsi o alle imprese per continuare a produrre.
Putin starà gongolando. In Russia, il potere non promana dal popolo. Al dittatore sarà sufficiente non indispettire eccessivamente i quadri dirigenti, militari e gli oligarchi per restare al potere.
Europa paralizzata
La crisi energetica di questi mesi ha accentuato proprio tali timori. Il rialzo dei tassi BCE, necessario da ogni punto di vista, rischia di far implodere i debiti sovrani di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo. D’altra parte, si mostra ancora troppo modesto per placare i tassi d’inflazione ovunque. In sostanza, l’Eurozona starebbe per precipitare nella stagflazione. Lo scudo anti-spread presentato ieri dalla BCE non risolverà il problema alla radice, si limiterà a metterci una pezza ogni tanto e neppure così necessariamente grande da coprire la ferita per intero.
L’Europa affrontò malissimo la crisi dei debiti sovrani nel biennio 2010-’11. Anziché pensare a sventare la speculazione finanziaria sul nascere, volarono i coltelli a Bruxelles fino a quando l’euro non fu ad un passo dalla scomparsa. La evitò in extremis Draghi, allora governatore della BCE, per questo stimato oggi nei consessi internazionali. La risposta alla pandemia fu, invece, più efficace. Poiché la crisi sanitaria apparve a tutti uno shock simmetrico, la Commissione varò un piano di indebitamento comune (Recovery Fund) e la BCE un piano straordinario di acquisti dei bond (PEPP).
Avanzata russa in un’Europa disgregata
La guerra in Ucraina non sta vedendo alcuna risposta comune.
In queste condizioni, l’Occidente non può più permettersi di andare in ordine sparso e di proseguire con progetti miopi di portata nazionale, magari tentando di farsi dispetti al suo interno. Ci sono l’Unione Europea contro il Regno Unito sulla Brexit, il Nord Europa contro il Sud nell’Area Euro, l’Europa e gli USA che si guardano con reciproco sospetto sulla guerra. Di questo passo, Putin vince e l’Occidente perde. Non illudiamoci. Se l’Eurozona, anziché guardare al vicino 2020, andasse con la testa indietro al 2011 e pensasse di usare il ricatto dello spread per mettere sotto scacco l’Italia alla vigilia delle elezioni politiche, avrà scelto la strada della sconfitta. E stavolta, a rischio non ci sarebbe solo l’euro, bensì anche la tenuta delle istituzioni democratiche dinnanzi all’avanzata russa.