Sembrava una barriera inamovibile, una linea Maginot invalicabile per il nostro mercato del lavoro. Invece, i dati sull’occupazione italiana a luglio ci dicono che finalmente abbiamo superato la resistenza dei 24 milioni di posti di lavoro. Per l’esattezza, nel mese considerato gli occupati sono saliti a 24.009.000, segnando una crescita di 56 mila unità in un mese e di 490 mila in un anno. E’ il dato più alto dall’inizio delle rilevazioni Istat e ci consegna un quadro positivo sull’evoluzione di questi anni. Il precedente picco risaliva al gennaio del 2019, quando gli occupati furono 23 milioni 240 mila. Rispetto ad allora c’è stato un aumento di 769 mila occupati, mentre dal minimo ventennale toccato nel settembre del 2013 a 21 milioni 753 mila la crescita è stata di 2 milioni 256 mila unità.
Boom di contratti stabili, giù i lavoratori poveri
L’occupazione italiana è stata trainata su base annuale dai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato a +437 mila, così come dai lavoratori autonomi a +249 mila. Al contrario, sono diminuiti i contratti di lavoro a tempo di 196 mila unità. E trattandosi di un mese estivo, in cui sono frequenti i lavori occasionali e temporanei legati al turismo, il dato si fa interessante. Avete presente quando sindacati e media sostengono che il mercato del lavoro starebbe crescendo solamente grazie ai “lavoretti”? E’ una grossa fake news, perlopiù dovuta alla pigrizia di tanti che da decenni hanno imparato a ripetere a memoria frasi fatte. C’è anche la malafede, ma quella è incurabile.
Da quando il governo Meloni è in carica, i posti di lavoro sono aumentati di 759 mila unità e si è ridotta la distanza tra occupazione maschile e femminile.
Era del 18,1% e nel luglio scorso risultava scesa al 17,4%: 71% per gli uomini e 53,6% per le donne. Resta altissima, a causa della bassa occupazione femminile. Tuttavia, quest’ultima è aumentata dal 52,3% del luglio 2023, nonché dal 51,7% dell’ottobre 2022, mese in cui la prima premier donna entrava a Palazzo Chigi. Non stiamo affatto affermando che ciò sia avvenuto grazie al suo operato, bensì che questi siano i numeri. Sotto questo governo il mercato del lavoro è migliorato, trainato perlopiù dalle donne. E i cosiddetti “working poors”, cioè coloro che lavorano e risultano ugualmente poveri, sono scesi sotto il 10% dal 12% dello scorso anno.
Donne, giovani e Sud restano punti deboli
E’ chiaro che non va tutto bene. L’occupazione italiana sale sì al 62,3%, ma resta bassissima nel confronto internazionale. Siamo ultimi nell’Unione Europea, persino dietro alla Grecia e a distanza di una decina di punti percentuali rispetto alla media continentale. Il problema, come detto, riguarda particolarmente le donne, ma anche i giovani e il Meridione nel suo complesso. Nella fascia di età 15-24 anni, l’occupazione resta inchiodata al 20%, in quella tra 25-34 anni sale al 68,4% dal 66,6% di inizio legislatura. In ogni caso, ancora bassa. Al Sud, poi, non arriva al 50%. La piaga del lavoro nero stenta ad essere debellata, causa anche degli scarsissimi controlli.
Più persone al lavoro sono una buona notizia per l’economia italiana. Potenzialmente, ciò implica un aumento della produzione di ricchezza. In realtà, può anche avvenire che la torta resti invariata e che a produrla siano in più persone, a ciascuna delle quali spetteranno fette più piccole. Un paradosso che ben conosciamo, visto che è proprio il caso dell’Italia negli ultimi anni.
Ai valori dello scorso anno, ciascun lavoratore dipendente e autonomo in media produceva ricchezza per 88.490 euro. In Germania, si arrivava a quasi 91.000 euro. Parliamo di differenze risibili, ma resta il fatto che senza crescita del Pil (la torta) non si potrà ambire a stipendi (fette) più elevati.
Occupazione italiana sale, ma stipendi reali scendono
Rispetto al 1980, quando l’occupazione italiana si aggirava in area 20 milioni, abbiamo calcolato che la crescita reale media della produttività sarebbe stata dell’1,3% all’anno. Una percentuale bassa, che chiarisce la scarsa dinamica salariale negli ultimi decenni. Gli stipendi, al netto dell’inflazione, non solo non sono aumentati da inizio anni Novanta, ma risultavano scesi al 2020 del 2,9%. E considerate che da allora c’è stata una forte accelerazione nel tasso di perdita di potere del acquisto a causa dell’alta inflazione post-Covid. Questi dati evidenziano un fatto forse sconveniente da rivelare: i posti di lavoro aumentano perché gli stipendi in termini reali si abbassano e alle imprese conviene di più assumere che non investire capitali nell’innovazione. Se così, sarebbe una vittoria di Pirro per il sistema Italia.