La manovra di bilancio del governo Meloni inizia a prendere forma con le votazioni del Parlamento. E sul reddito di cittadinanza si addensano alcune tra le novità più rilevanti di questo inizio di legislatura. Gli emendamenti del centro-destra hanno cancellato il riferimento all’offerta di lavoro “congrua” per non perdere il diritto al sussidio. Tra le altre modifiche, l’abbassamento a 7 mesi della durata del sussidio per il 2023 e l’obbligo per i beneficiari di età compresa tra 18 e 29 anni di frequentare un corso per il completamento della scuola dell’obbligo.
Criteri per offerta congrua
Con l’introduzione del reddito di cittadinanza nell’aprile del 2019, il governo “giallo-verde” definì il concetto di offerta congrua. I beneficiari, in poche parole, potevano e possono a tutt’oggi rifiutare una proposta di lavoro, se questa non possiede alcuni requisiti essenziali. Nel caso si tratti di prima offerta, il rifiuto può avvenire se riguarda un lavoro distante oltre 80 km dal luogo in cui risiede il beneficiario o raggiungibile entro 100 minuti con i mezzi pubblici. Nel caso di seconda offerta, il lavoro può essere su tutto il territorio nazionale. Questo per quanto riguarda le proposte a tempo pieno e indeterminato.
Se, invece, al percettore del reddito di cittadinanza arriva una proposta a tempo determinato o parziale, il posto di lavoro deve essere in ogni caso entro 80 km dalla residenza. Altro requisito riguarda-va le competenze e le capacità del beneficiario, che devono essere in linea con il lavoro proposto. Infine, la retribuzione deve essere almeno del 20% superiore all’ultima indennità percepita. Queste caratteristiche definiscono ancora oggi un’offerta “congrua”. Nel caso di primo rifiuto, il percettore perde 5 euro al mese progressivamente, a patto che il sussidio sia almeno di 300 euro moltiplicato per la scala di equivalenza. Nel caso di secondo rifiuto, il sussidio decade.
Imprese snobbano Centri per l’impiego
Con le modifiche apportate dalla manovra, l’offerta di lavoro è sempre congrua. E il diritto al reddito di cittadinanza decade già dopo il primo rifiuto. Si tratta di una novità dirompente, che già fa parlare parte delle opposizioni di “attacco alla dignità” dei percettori. Ma cosa cambia nella sostanza? Probabilmente, poco. Le offerte di lavoro proposte ai percettore del reddito di cittadinanza tramite i Centri per l’impiego nei fatti non esistono. Anzi, in generale non esiste che un’impresa valuti di assumere un iscritto alle liste di collocamento, salvo casi rari.
E se è vero che determinate categorie come la ristorazione e le attività agricole si sono lamentate per la carenza di manodopera disponibile negli ultimissimi anni, difficilmente si rivolgeranno ai Centri per l’impiego. L’incontro tra domanda e offerta avviene sempre sulla base di un rapporto di fiducia reciproca. E l’impresa pretende sempre di assumere direttamente, non rivolgendosi a database pubblici.
Possibile lavorare senza perdere il sussidio
Infine, la scomparsa dell’offerta congrua può apparire “disumana” per i casi di lavori mal retribuiti. Tuttavia, così non è. Infatti, il percettore del reddito di cittadinanza può svolgere lavoretti temporanei con retribuzione fino a 3.000 euro senza perdere un solo centesimo del sussidio. Sopra 3.000 euro, perde l’80% del sussidio. Dunque, se gli fosse proposto un lavoro con retribuzione “incongrua” sulla base degli attuali requisiti, non perderebbe il sussidio, ma semplicemente avrebbe la possibilità di aumentare le sue entrate complessive e migliorare, quindi, le proprie condizioni di vita e quelle del suo nucleo familiare.
La fisionomia della riforma va nella direzione di incentivare alla ricerca di un lavoro. I percettori di qualsiasi sussidio, in Italia e nel mondo, rischiano spesso di cadere nella trappola della povertà permanente a causa dello scarso impulso a trovare un lavoro.