Prende al via oggi la presidenza di turno dell’Unione Europea per la Germania, che durerà per tutto il secondo semestre di quest’anno. La cancelliera Angela Merkel avrà pure titolo formale per fungere da leader dei 27 stati comunitari in una delle fasi più difficili, se non la più difficile, dal punto di vista economico. Il pil potrebbe implodere a doppia cifra nell’Eurozona, che riunisce 19 stati della UE. Il dossier che Berlino si ritroverà a gestire sin da subito sarà il “Recovery Fund”, dopo che le divisioni tra nord e sud hanno impedito al Consiglio europeo di giugno di giungere a un accordo sulla proposta della Commissione europea di varare un piano da 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 in forma di prestiti a basso costo.
Per la prima volta, la Germania accetta l’ipotesi di emettere debito comune, ma vorrebbe che le erogazioni fossero condizionate a buone pratiche di politica economica e all’implementazione delle riforme, sebbene sul punto stia cercando di ripararsi dietro alle posizioni più ostentatamente dure degli alleati, noti come “Frugal Four”: Austria, Olanda, Danimarca e Svezia.
Pochi giorni fa, la cancelliera è parsa stizzita quando ha dichiarato che l’Europa non ha lavorato sul MES perché restasse inutilizzato. Si riferiva alle risorse messe a disposizione dal Meccanismo Europeo di Stabilità per gestire la crisi sanitaria e le sue conseguenze per un valore fino al 2% del pil. All’Italia spetterebbero sui 35 miliardi di euro senza condizioni, se non quella di utilizzare le risorse per voci di spesa legate direttamente e indirettamente alla sanità, nonché a tassi sostanzialmente azzerati. Il problema resta l’effetto stigma sul piano politico e finanziario che rischia di gravare sullo stato che fa richiesta di soccorso.
Il Recovery Fund è una recita che serve a tutti, Italia per prima
Lo spettro del 2010
Non a caso, nessun paese sta chiedendo aiuto al MES, temendo che chi lo facesse per primo si ritrovi “marchiato” negativamente sui mercati in qualità di “assistito”.
Per Frau Merkel, questi sei mesi saranno l’ultimo “show” di livello internazionale a cui parteciperà prima di smontare le tende da Berlino. Il suo mandato scade nel settembre 2021 e da anni ha annunciato che non si ricandiderà per un quinto. In questi 15 anni, la sua Germania ha compiuto passi da gigante da un punto di vista politico, consolidando la leadership economica nella UE e ampliando il solco con tutte le altre economie, Francia compresa. Ma proprio sul piano europeo lascia un’eredità piuttosto controversa, per non dire negativa. Con la crisi finanziaria del 2008-’09, la cancelliera ha riportato in auge vecchie divisioni storiche, pregiudizi e contrapposizioni che sembravano relegati ai libri di storia.
Pessima fu la gestione del post-crisi dal 2010 in poi, specie con il trattamento umiliante riservato alla Grecia. L’euro-scetticismo è diventato un sentimento dominante a ogni latitudine: al sud, come rigetto delle politiche di austerità filo-tedesche; al nord per la non accettazione del sostegno agli stati “spendaccioni” del sud. Con il Covid-19, la Germania sta cercando almeno di evitare il ripetersi di quegli errori, anche perché è consapevole che non esisterebbero alternative al forte allentamento fiscale e monetario in corso, a meno di non prendere in seria considerazione il rischio di rottura dell’euro, ipotesi quanto mai sconveniente per un’economia esportatrice.
Il vero rischio del Recovery Fund è che finiremo per finanziare la ripresa degli altri
Rischi per il dopo-Merkel
Il problema è che la Germania stia semplicemente tollerando la risposta, senza guidarla con convinzione. Nella sua idea, appena le economie torneranno a riprendersi, la BCE dovrà cessare gli acquisti di bond e i governi dovranno tendere al pareggio di bilancio. Non che sia un’idea sbagliata, il fatto è che risulta poco o affatto condivisa nell’area, tranne che al nord, dove esiste un terreno piuttosto fertile per la sua diffusione trasversale tra gli schieramenti politici. Da questo semestre, la Merkel cercherà di lasciare di sé e della sua Germania un testamento di successo. Non è detto che ci riesca, anche perché con le elezioni federali tra poco più di un anno, i tedeschi non perdonerebbero al suo partito cedimenti verso paesi come l’Italia, giudicati iper-indebitati, inefficienti e con sistemi bancari traballanti.
Il semestre merkeliano potrebbe anche trovarsi a gestire una seconda ondata di contagi, che i virologi non escludono e, anzi, ritengono probabile con il ritorno alle basse temperature in autunno. Al netto degli scenari più cupi, Mutti guiderà l’Europa nella delicata fase della ripartenza, che non sarà immediata e vigorosa nemmeno per la locomotiva tedesca. Di miracoli non ce ne saranno. Di più di quanto proposto con il Recovery Fund la cancelliera non può permettersi di concedere, anche perché in patria la sua forza è ormai solamente lo specchio delle debolezze altrui. A Berlino non esistono altri leader, a destra come a sinistra, capaci di contrastarla con efficacia. E questo non depone a favore del futuro dell’Europa, perché quando la Merkel sarà una “ex” cancelliera, ci ritroveremmo a interloquire con un successore probabilmente in balia degli umori del suo “inner circle”.
La Germania di Frau Merkel si sta sgretolando sotto i nostri occhi