La campagna di demonizzazione contro l’olio di palma starebbe iniziando a portare i suoi frutti, almeno in Italia, dove nei primi due mesi dell’anno si registra un crollo delle importazioni del 41%, dopo una crescita senza sosta nei 20 anni precedenti, tanto che nel 2016 si era arrivati all’apice di 500 milioni di chili. Non che il mercato mondiale dell’olio di palma sia in crisi (le esportazioni dell’Indonesia, principale produttore insieme alla Malaysia, sono cresciute su base annua del 23% in aprile), ma i prezzi del prodotto sono in calo del 14,5% quest’anno, a causa di un mix di fattori.
L’olio di palma di commercia nella valuta malesiana, che rafforzandosi contro il dollaro (+4,5% quest’anno), rende i prezzi automaticamente più cari, incentivando la ricerca di prodotti alternativi. Uno di questi, l’olio di soia, quest’anno ha visto scendere i prezzi del 10%. E’ chiaro che quando un sostituto diventa meno caro, le quotazioni ne risentono. (Leggi anche: Olio di palma, prezzi giù e raccolta a rischio)
Boom del prezzo del burro
E così, oggi una tonnellata con consegna a giugno costa oggi 577 euro, dopo avere effettuato la dovuta conversione per il tasso di cambio. Anche al fine di limitare la produzione nazionale, il governo indonesiano ha imposto una moratoria di due anni sulla concessione di nuove licenze per lo sfruttamento di aree agricole per la coltivazione di piante di olio di palma. Ufficialmente, l’obiettivo consiste nel tutelare il territorio dalla deforestazione, ma appare evidente anche lo scopo di sostenere i prezzi internazionali in una fase di attacco concentrico contro il prodotto ad oggi tra i più utilizzati nell’industria alimentare e cosmetica dell’intero pianeta.
Ma se i prezzi dell’olio di palma arretrano, quelli del burro avanzano, anzi esplodono.