Una decisione imprevista e all’apparenza assurda quella presa ieri dall’OPEC+, il cartello del petrolio guidato dall’Arabia Saudita e che collabora ormai da anni con una decina di paesi esterni, tra cui la Russia. L’organizzazione ha annunciato ieri sera il taglio della produzione di petrolio per 1 milione di barili al giorno a partire da maggio. Metà del “sacrificio” se lo addosseranno proprio i sauditi, seguiti da:
- Iraq -211.000
- Emirati Arabi Uniti -144.000
- Kuwait -128.000
- Kazakistan -78.000
- Algeria -48.000
- Oman -40.000
Petrolio s’infiamma sui mercati
Secondo i paesi esportatori facenti parte dell’OPEC, questo taglio si sarebbe reso necessario per anticipare le possibili conseguenze dell’incertezza che si respira sui mercati internazionali in questa fase, specie a seguito della crisi bancaria in Occidente.
Ma la decisione dell’OPEC sembra a tutti gli effetti un atto di “guerra” economica mossa contro l’Occidente. Essa arriva in una fase difficile per la Russia sul piano economico e impantanata sul terreno di guerra in Ucraina. La risalita delle quotazioni – Brent a +5% mentre scriviamo, a quasi 84 dollari al barile – avvantaggia proprio Mosca, mentre colpisce le economie di Stati Uniti ed Europa, in particolare. Sembra che Riad sia rimasta irritata nei giorni scorsi dall’annuncio della Casa Bianca che non intende rimpinguare le scorte strategiche di petrolio utilizzate nell’ultimo anno per abbassare i prezzi sul mercato domestico.
Contraccolpi per economie importatrici
Nel complesso, l’OPEC ha voluto inviare un segnale chiaro all’amministrazione Biden e ai suoi alleati: non siete più voi a fare il bello e il cattivo tempo, il mondo è diventato multipolare. Ed è evidente che i sauditi si siano quasi del tutto sganciati dalle alleanze geopolitiche tradizionali.
Le conseguenze del taglio alla produzione di petrolio rischiano di rivelarsi drammatiche per l’Occidente. Il processo di disinflazione in corso potrebbe prolungarsi. Goldman Sachs, che solo due settimane fa aveva tagliato le stime per il 2024 da 100 a 94 dollari, adesso le ha rialzate a 100 dollari e per quest’anno è passata da una previsione di 90 a una di 95 dollari in media per il Brent. Un’inflazione alta più a lungo costringerebbe le banche centrali ad alzare i tassi d’interesse ulteriormente e/o a mantenerli ai livelli massimi per più tempo. A sua volta, una politica monetaria più restrittiva rischia di provocare la recessione economica.
Materie prime arma contro Occidente
Sembra un paradosso. L’OPEC teme la recessione delle grandi economie e per sventare il rischio di una caduta delle entrate petrolifere, abbassa la produzione per alzare i prezzi, ma finendo con l’anticipare e possibilmente aggravare la recessione stessa. Soltanto fino a un paio di anni fa, i sauditi avrebbero impedito un atto dall’impatto così negativo per l’economia mondiale. Essi hanno sempre perseguito la stabilità dei prezzi, unitamente a quella macroeconomica delle potenze clienti. Ma il principe saudita Mohammed bin Salman non risponde più neppure al telefono al presidente americano Joe Biden. I rapporti con gli Stati Uniti sono ai minimi storici.
In Asia si sta saldando con una velocità impressionante un blocco geopolitico apertamente ostile all’Occidente. E’ guidato dalla Cina di Xi Jinping e vede coinvolta direttamente la Russia di Vladimir Putin.