Opzione Donna anche per gli uomini: sindacati contro, ma i lavoratori non vedono l’ora

I lavoratori sperano che Opzione Donna possa essere estesa a tutti dal 2023. I sindacati si oppongono perché troppo penalizzante. Ma è proprio così?
2 anni fa
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conti in banca
Foto © Pixabay

Opzione Donna per tutti, anche per gli uomini. Sembra questa la strada che il governo Meloni intende intraprendere per evitare il ritorno integrale alle regole Fornero dal 2023. Del resto, il tempo stringe e i margini finanziari di manovra sono molto stretti.

I vincoli di bilancio non consentono altre soluzioni. Nemmeno Quota 41, tanto invocata dalla Lega, perché costerebbe troppo. E pur volendo restringere la platea dei beneficiari innalzando l’età pensionabile, si rischierebbe di fare un buco nell’acqua, tipo Quota 102.

Opzione Donna anche per gli uomini, i sindacati si schierano contro

Estendere, invece, a tutti il meccanismo di pensionamento anticipato finora adottato per le lavoratrici con Opzione Donna, sembra la soluzione ideale. Forse l’unica possibile per evitare di far esplodere nuovamente la spesa previdenziale con alternative avventate.

Come noto si tratterebbe di dare anche ai lavoratori maschi la possibilità di andare in pensione anticipata a 58 anni (59 per gli autonomi) con almeno 35 anni di contributi versati. Una soluzione che non piace ai sindacati, in particolare alla CGIL. Ma i lavoratori, al contrario, non vedono l’ora che si possa attuare.

Verrebbe da chiedersi, a questo punto, se i sindacati sono veramente rappresentativi degli interessi dei lavoratori oppure no. Anche perché in passato, quando nel 2004 fu varata Opzione Donna la presa di posizione delle parti sociali fu uguale. Salvo poi scoprire che il pensionamento anticipato è stato molto gradito alle lavoratrici, seppur con penalizzazione.

Come si calcola la pensione con Opzione Donna

Il sistema di calcolo della pensione con Opzione Donna si basa esclusivamente sul calcolo contributivo dei contributi. Quindi coloro che hanno lavorato prima del 1996, se vogliono andare in pensione con questa opzione, devono chiedere la migrazione dei contributi versati nel sistema retributivo a quello contributivo.

Ne deriva una penalizzazione rispetto a quanto  previsto con la liquidazione dell’assegno con il sistema di calcolo misto.

Ma si tratta di una perdita minima. Anzi potremmo tranquillamente dire che la penalizzazione è tanto più bassa quanto minori sono i contributi da migrare.

E con il passare degli anni questi contributi da migrare tendono a zero. Sicché il sistema di calcolo della pensione non fa altro che adeguarsi all’entrata a regime del sistema di calcolo contributivo puro previsto per tutti fra una decina di anni.

La penalizzazione

La penalizzazione dell’assegno che deriva da chi sceglie di andare in pensione con Opzione Donna deriva non tanto, già dal diverso sistema di calcolo, ma dall’età pensionabile. Come noto, sul monte contributivo è applicato un coefficiente di trasformazione che è tanto più alto quanto maggiore è l’età del lavoratore.

Pertanto, la penalizzazione che si subisce andando in pensione a 58-59 anni deriva principalmente dall’applicazione del relativo coefficiente di trasformazione ai contributi. Il diverso sistema di calcolo contributivo incide poco. Soprattutto se i contributi da migrare sono pochi.

E’ quindi falso che il meccanismo di calcolo adottato per Opzione Donna comporti un taglio della pensione fino al 30%. Non è questo che comporta la penalizzazione, ma l’età anagrafica del lavoratore.

Lavoratori in pensione a 58-59 anni, un criterio di equità

Ma torniamo all’estensione di Opzione Donna anche agli uomini. Favorevoli non sono solo i lavoratori che potranno così decidere se andare in pensione prima con penalizzazione o attendere i requisiti di vecchiaia. Ma anche l’Inps.

Secondo Pasquale Tridico, presidente dell’istituto, la riforma va nella giusta direzione perché non pesa sui conti dello Stato e introduce criteri di flessibilità in uscita per tutti. In sostanza, chi vuole, può decidere di lasciare il lavoro a partire da 58-59 anni con 35 di contributi sapendo di prendere un assegno ridotto in base ai criteri di calcolo di cui sopra.

I lavoratori, oltretutto, non sono obbligati a optare per questa opzione al raggiungimento dei 58-59 anni, ma possono anche attendere. E’ una scelta. Ovviamente più si ritarda la data di pensionamento, maggiore sarà l’assegno, proprio per via dell’età anagrafica di uscita.

Un criterio di equità sociale

I conti dello Stato ne trarrebbero vantaggio e la riforma pensioni sarebbe sostenibile nel tempo. Senza necessariamente tirare in ballo Quota 41, come insiste la Lega, che pare più uno specchietto per le allodole che una reale riforma a vantaggio della collettività. Costerebbe troppo e non servirebbe a liberare spazi occupazionali.

A differenza di Opzione per tutti che, al contrario, potrebbe dare molte più chances alle aziende di assumere nuova manodopera fra i giovani lavoratori. Inoltre sarebbe un criterio di equità sociale non indifferente, tenuto conto che finora molti lavoratori del settore privato e del settore credito hanno potuto beneficiare di scivoli molto vantaggiosi.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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