Andare in pensione in anticipo rispetto ai requisiti anagrafici previsti oggi a 67 anni di età comporta sempre una penalizzazione. Questo perché la rendita, di principio, è tanto maggiore quanto più alta è l’età del lavoratore e quindi minore il periodo di godimento rispetto all’aspettativa di vita.
Uscire dal lavoro con Opzione Donna, piuttosto che con Ape Sociale o Quota 103 significa, quindi, mettere in conto una perdita rispetto a quanto si prenderebbe con la pensione di vecchiaia. Anche a parità di contributi.
Opzione Donna, la pensione anticipata più penalizzante
Così, fra la tre deroghe pensionistiche attualmente in vigore, uscire con Opzione Donna per le lavoratrici è sicuramente la scelta più penalizzante. Tant’è che finora l’importo medio delle pensioni liquidate dall’Inps è stato inferiore a 1.000 euro al mese tenendo presente che non tutte sono uscite coi requisiti minimi di 35 anni di contributi e/o con 58-60 anni di età.
A penalizzare l’importo della pensione interviene anche il sistema di calcolo che è esclusivamente contributivo. Per chi sceglie di lasciare il lavoro in anticipo con Opzione Donna bisogna mettere in conto che gli anni di lavoro prestati prima del 1996 e ricadenti nel sistema retributivo, più vantaggioso, vengono migrati in quello contributivo.
A conti fatti, si perdere circa un quarto dell’importo della pensione rispetto all’ipotetica uscita a 67 anni coi requisiti di vecchiaia. La combinazione del fattore di calcolo con i coefficienti di trasformazione dei contributi relativi alla giovane età della lavoratrice penalizzano oltremodo questa soluzione al punto che Opzione Donna è stata definita roba da ricchi.
Quanto si perde con Ape Sociale
Anche andare in pensione anticipata con Ape Sociale è poco conveniente dal punto di vista economico.
Innanzitutto si può uscire solo a partire da 63 anni di età con un requisito minimo contributivo di 30 anni. Poi c’è il fatto la rendita massima erogabile dall’Inps è pari a 1.500 euro al mese lordi per 12 mensilità. E, cosa più svantaggiosa, l’importo della pensione non è rivalutabile fino al compimento dei 67 anni.
Fattore questo che poteva essere trascurato in presenza di bassi tassi di inflazione, ma che oggi, con l’inflazione che è tornata a correre, comporta una perdita di potere d’acquisto per i pensionati non indifferente. Anche in questo caso, come per Opzione Donna, la misura è riservata a persone in difficoltà, come caregiver, disoccupati, invalidi, oltre che ai lavoratori gravosi.
In pensione con Quota 103
Quota 103, infine, è la meno penalizzante delle tre deroghe pensionistiche. Uscire a 62 anni di età con almeno 41 di contributi (Quota 103) comporta sì una penalizzazione rispetto alla vecchiaia, ma il requisito contributivo elevato ne compensa parzialmente gli effetti negativi. Certo un lavoratore che ha 41 anni di lavoro alle spalle potrebbe considerare forse più conveniente l’attesa della pensione anticipata con 41-42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età.
Anche in questo caso, però, bisogna considerare che andare in pensione 5 anni prima comporta una penalizzazione sul calcolo della pensione rispetto a quanto si prenderebbe a 67 anni con gli stessi contributi. E qui sta a ognuno farsi i propini conti e valutare la convenienza.
Da ricordare che la pensione liquidata con Quota 103 non può superare l’importo massimo di 5 volte il trattamento minimo. Quindi 2.840 euro al mese. E che non è possibile cumulare la rendita con redditi da lavoro se non in misura occasionale.
Riassumendo…
- Andare un pensione in anticipo comporta sempre una penalizzazione dell’assegno.
- Opzione Donna è la misura che tagli maggiormente la pensione rispetto ai requisiti di vecchiaia.
- Ape Sociale prevede una rendita limitata e non rivalutabile negli anni.
- Quota 103 è la meno penalizzante, ma vi sono dei limiti di importo e di reddito.