Opzione Donna, dal 2023 sale il requisito anagrafico, ma non per tutte

Il governo proroga Opzione Donna anche nel 2023, ma con requisiti anagrafici diversi. Premiate le lavoratrici con figli.
2 anni fa
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pensioni e manovra
Foto © Pixabay

Opzione Donna, così come Ape Sociale, saranno prorogate anche nel 2023. Come ampiamente previsto, il Consiglio dei Ministri del 21 novembre scorso ha approvato le deroghe pensionistiche che saranno inserite nella prossima legge di bilancio.

Non sarà però tutto come prima. Il governo Meloni ha infatti previsto alcune modifiche che nella sostanza incideranno sul requisito anagrafico per accedere a Opzione Donna. Oltre al fatto che dovrebbe sparire il divario di un anno fra lavoratrici dipendenti e autonome.

Opzione Donna cosa cambia dal 2023

Quindi dal 2023 le lavoratrici potranno andare in pensione tutte a partire dalla stessa età.

Non più 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome, ma 58 anni per tutte. Ma questa soglia di età sarà condizionata alla natalità. In pratica il requisito anagrafico previsto per Opzione Donna resterà fermo a 58 anni solo per coloro che hanno figli.

Secondo quanto approvato dal governo, dal prossimo anni la soglia di età minima sarà variabile in base al numero dei figli. Un meccanismo che è stato studiato per incentivare la natalità e nel tentativo di superare il problema demografico che sta attanagliando il nostro Paese. La misura prevede nel dettaglio il requisito contributivo rimanga fisso a 35 anni, ma quello anagrafico minimo cambi nel seguente modo:

  • 58 anni per le lavoratrici con almeno 2 figli;
  • 59 anni per le lavoratrici con almeno 1 figlio;
  • 60 anni per le lavoratrici senza figli.

Si tratta di una piccola modifica che ha anche lo scopo di limitare l’accesso alla pensione al di sotto dei 60 anni, come anche chiesto sempre dall’Unione Europea. Ma anche per questioni di costi previdenziali.

In pensione con la finestra ridotta

Come noto Opzione Donna prevede che la pensione sia calcolata con il solo sistema contributivo. Quindi con un meccanismo che prevede la migrazione dei contributi versati nel sistema retributivo (ante 1996) a quello contributivo. Ne deriva una penalizzazione più o meno significativa base al numero di contributi versati prima del 1996.

Tuttavia, a differenza di quanto racconta la disinformazione della generalità dei media, è opportuno precisare che la penalizzazione della pensione di Opzione Donna scaturisce più che altro dall’età in cui si ottiene la rendita.

Il coefficiente di trasformazione applicato al montante contributivo di una lavoratrice a 58 anni è decisamente più basso di quello applicato a una lavoratrice di 67 anni. Anche tenuto conto della differenza fra calcolo contributivo puro e misto. Quindi è l’età del pensionamento che fa diminuire in prospettiva l’importo della pensione rendendola poco conveniente.

A compensazione di questa penalità, si sta valutando se ridurre i tempi di attesa della pensione con Opzione Donna. Oggi sono di 12 mesi (18 per le autonome) dalla maturazione dei requisiti. Ma lo sapremo con l’approvazione della legge di bilancio.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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