Su Opzione Donna si è sollevato un vero e proprio polverone dopo le ultime decisioni del governo sulla sua proroga. Meloni propone al Parlamento di introdurre un meccanismo più restrittivo per le lavoratrici, ma non tutte le forze politiche sono d’accordo.
In sostanza, Opzione Donna sarebbe prorogata al 2023 per altri 12 mesi, ma con requisito anagrafico che sale a 60 anni di età. Resterebbe a 58-59 anni solo per le lavoratrici con figli. Vi sarebbe poi il vincolo legato a particolari condizioni sociali.
Retromarcia su Opzione Donna?
Posto che il requisito contributivo rimarrebbe invariato, potranno andare in pensione con Opzione Donna solo le lavoratrici appartenenti a tre categorie sociali:
- essere caregiver, ovvero chi assiste un coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap,
- avere una invalidità uguale o superiore al 74%,
- essere stata licenziata o lavorare per un’impresa per la quale è attivo un tavolo di crisi.
Misure complessivamente stringenti che denotano la volontà del governo di limitare il più possibile l’accesso a questa misura di pensionamento anticipato invisa a Bruxelles. Negli ultimi anni sono infatti andate in pensione circa 20mila lavoratrici, secondo i dati Inps.
Appeal in crescita per l’uscita anticipata
Ma perché si sta cercando di limitare, se non sopprimere, l’accesso a Opzione Donna? La questione dei diritti della lavoratrici o dei dubbi costituzionali legati alla nuova proposta di modifica del governo lascia il tempo che trova. La verità, secondo gli esperti, è un’altra. Sono i costi.
Opzione Donna comincia a costare troppo. Non tanto per la giovane età di uscita dal lavoro, quanto per il semplice motivo che più passa il tempo meno conveniente diventa per lo Stato pagare questo tipo di pensioni. La penalizzazione sul calcolo della rendita tende, infatti, a diminuire col passare degli anni. I contributi da migrare nel sistema contributivo sono in calo per la generalità delle aventi diritto.
Se dieci anni fa questa misura rendeva estremamente sconveniente andare in pensione anticipata per una semplice questione di calcolo della pensione col sistema contributivo puro rispetto a quello misto, oggi non è più così. Ecco perché si sta cercando in tutti i modi di limitare l’accesso a Opzione Donna.
Volendo fare un esempio pratico, una lavoratrice che va in pensione con Opzione Donna nel 2023 con 35 anni di contributi e 58 di età, migrerà solo 8 anni di contributi dal sistema retributivo a quello contributivo. La stessa lavoratrice, cinque anni fa, ne avrebbe migrati 13, quindi avrebbe subito una penalizzazione maggiore.
Di fatto questo meccanismo ha sempre reso sconveniente in passato la scelta di Opzione Donna per andare in pensione. Tant’è che i numeri lo dimostrano e l’appeal è in crescita.