E’ una vicenda tristissima quella che vi raccontiamo e che è rimbalzata sui media dagli USA, dove lo scorso 12 giugno uno studente di 20 anni, iscritto alla University of Nebraska, ha deciso di farla finita, gettandosi sotto un treno. Alexander E. Kearns ha lasciato un biglietto ai suoi cari, nel quale ha motivato il gesto come frutto della vergogna per avere compromesso il suo futuro. Cosa gli era successo? Si era iscritto da poco a una piattaforma di trading online, chiamata Robinhood, e poco prima di suicidarsi aveva scoperto con sua scioccante sorpresa che il suo conto riportava un saldo negativo di 730.165 dollari.
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Il giovane riteneva di non essersi esposto per un simile capitale, anche se la vicenda presenta ancora tratti oscuri, essendo emersi pochi dettagli. Ha provato a ricostruirla meglio Forbes, secondo cui il povero ragazzo avrebbe fatto trading con le opzioni, non con azioni o obbligazioni. Trattasi di strumenti derivati, che consentono a un investitore di impiegare solo una minima parte della liquidità, fermo restando che le perdite massime, così come i profitti, siano correlate all’intero capitale nominale dell’investimento.
Un parente di Kearns ha postato disperatamente sui social questa domanda: “come si può consentire a un ragazzo di 20 anni e senza reddito di avere una leva di un milione di dollari?”. E’ la domanda che si sono posti in tanti tra i lettori, accanto ad un’altra: “dov’era la SEC (la Consob americana)?”. Fatto sta che un giovanissimo ci ha lasciato le penne, compiendo un gesto inconsulto, frutto della disperazione. Robinhood ha registrato 3 milioni di nuovi utenti negli ultimi mesi, vivendo un boom come altre piattaforme di trading rivali in pieno “lockdown”. In pratica, per passatempo e forse anche con la speranza di sbarcare il lunario in tempi difficili, molti si sono improvvisati trader e tra loro tanti giovani, come se il trading fosse un gioco online al pari di una schedina del Superenalotto.
Il mondo delle opzioni
Di preciso, cos’è successo al povero Kearns? E’ probabile, come dicevamo, che inconsapevolmente abbia investito in opzioni, contratti che assegnano all’investitore la facoltà, ma non l’obbligo, di acquistare o vendere un titolo sottostante a/entro una certa data e a un dato prezzo (“strike price”). Ad esempio, se presumo che il titolo Mediaset salga dagli 1,58 euro di ieri a 2,50 entro tre mesi, troverò interessante un’opzione “call”, con la quale avrei la facoltà al termine indicato di acquistare (per ipotesi) il titolo a 2,00 euro, pagando un premio di 10 centesimi. In questo modo, rivenderei un attimo dopo sul mercato il titolo a 2,50 euro, realizzando una plusvalenza di 50 centesimi, a fronte di un costo iniziale di soli 10 centesimi. Guadagno netto = 40 centesimi!
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Viceversa, se prevedo che il titolo Mediaset scenda, troverò interessante scommettere al ribasso con un’opzione put, con la quale otterrò la facoltà di vendere alla scadenza e a un prezzo prefissato. Supponiamo che quest’ultimo sia di 1,50 euro e che alla scadenza effettivamente le azioni valgano 1,30 centesimi. A quel punto, le acquisto per 1,30 e le rivendo subito per 1,50, realizzando un margine di 20 centesimi, dal quale dovrò detrarre il costo del premio versato. Così funzionano le opzioni put. Altra caratteristica non esclusiva: posso espormi per un importo multiplo rispetto al margine effettivamente versato, operando con la leva.
Nel caso in esame, è probabile che il ragazzo si sia imbattuto in una strategia di trading più complessa e nota in gergo come “bull spread put”. Essa consiste nell’accendere contemporaneamente una posizione “long put” e una “short put”, in relazione allo stesso importo sottostante e alla medesima scadenza, ma a prezzi “strike” differenti.
Come funziona il bull spread put
Facciamo un esempio per capire come funziona la strategia. Immaginiamo che il titolo X quoti oggi 10 euro. Il trader vende un’opzione short a 90 giorni per 100 titoli e allo strike price di 20 euro, incassando un premio di 2 euro per titolo. In tutto, incasserà 200 euro. Allo stesso tempo, acquista un’opzione long put sui 100 titoli e sempre a 90 giorni, allo strike price di 10 euro. Supponiamo che paghi un premio di 1 euro per ciascun titolo. Spenderà in tutto 100 euro.
Alla scadenza, se il prezzo del titolo sale a 25 euro, il trader non ha convenienza ad esercitare l’opzione short put, perché può vendere i titoli sul mercato a un prezzo superiore a quello strike concordato nel contratto. Lo stesso dicasi per il possessore dell’opzione long put. Dunque, il profitto dell’operazione è dato dalla differenza tra i premi incassati (200 euro) e quelli versati (100 euro). Se alla scadenza il prezzo scende a 5 euro, sarà costretto ad acquistare i 100 titoli a 20 euro che gli saranno venduti dalla controparte dell’opzione short put e dovrà spendere, quindi, 2.000 euro. Per contro, il trader potrà esercitare l’opzione long put, vendendo i titoli a 10 euro e incassando 1.000 euro. In questo modo, avrà accusato una perdita pari a (2.000 – 1.000) euro, parzialmente lenita dai 100 euro netti incassati dai premi. L’operazione gli sarà valso una perdita di 900 euro.
A cos’è servita questa strategia? A contenere le perdite nei casi di andamento sfavorevole dei prezzi e ad esporsi per un capitale di importo nettamente superiore a quello investito, consentendo al trader di liberare liquidità per altre operazioni, anziché concentrarsi su una o poche. Probabile, quindi, che il povero Kearns abbia visualizzato un saldo negativo solo momentaneo, che sarebbe rimasto tale solo per tutto il fine settimana, quando le negoziazioni dei titoli sono sospese, variando dal lunedì successivo in un senso o nell’altro, a seconda dell’andamento del sottostante.
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