Ieri, intervenendo a una conferenza a New York, il capo di DoubleLine Capitale, Jeffrey Grundlach, uno dei massimi esperti di obbligazioni al mondo, si è detto convinto che i bond si muoveranno di molto nei prossimi mesi, ma ha ammesso di non conoscere in quale direzione, intravedendo una forte volatilità per i rendimenti a lungo termine. In tempi come questi, scommettere in un senso o nell’altro appare un azzardo. All’inizio dell’autunno scorso, il mercato aveva previsto ulteriori rialzi dei tassi Fed e il conseguente calo dei prezzi obbligazionari presso le principale economie avanzate.
Ma di strumenti per proteggersi contro i rischi ne esistono. Le opzioni sui bond permettono di scommettere in un senso o nell’altro, così come avviene con le azioni. Essi sono prodotti derivati, che assegnano all’acquirente, dietro il pagamento di un premio, la facoltà di acquistare (“call option) o di vendere (“put option”) il sottostante (in questo caso, il bond) a un prezzo prefissato (“strike price”) e (d)a una data scadenza.
Opzioni, cosa sono questi contratti derivati e a cosa servono
Quando si acquista una opzione call, si sta scommettendo sul rialzo dei prezzi dell’obbligazione, ossia su una discesa del relativo rendimento. Ricordiamo, infatti, che rendimento e prezzo si muovono in direzione opposta. Ad esempio, se ho la facoltà di acquistare un bond tra 90 giorni a un prezzo di 97 contro la quotazione attuale di 95, evidentemente mi aspetto che il bond salga a un valore ancora superiore, magari a 100 o più. Se vinco la scommessa, esercito la call, per cui acquisterò a 97 ciò che potrò rivendere sul mercato un attimo dopo a 98, 99, etc., maturando una plusvalenza, si spera al netto del premio versato.
Non su tutti i bond le opzioni valgono la pena
Viceversa, se acquisto una opzione put, sto scommettendo al ribasso. In pratica, esercito la facoltà di vendere solo se il bond quoterà alla scadenza pattuita meno del prezzo concordato. Ad esempio, vendo a Tizio a 97 un bond che sul mercato acquisterò a 95. Di fatto, lucrerò sulla differenza. Per quanto detto, le opzioni put segnalano aspettative ribassiste sui bond e rialziste sui rendimenti, mentre le opzioni call sono il frutto di aspettative rialziste sui bond e ribassiste sui rendimenti.
Portafoglio obbligazionario ottimale, ecco come sfruttare al meglio la curva dei tassi
Il mercato è solito monitorare la quantità netta di contratti di opzioni call/put accesi, per capire quale aspettativa stia prevalendo tra gli operatori. Ad esempio, è così che si capisce se ci si attende un taglio/rialzo dei tassi negli USA e in quali tempi, ricorrendo a dati come quelli forniti da CME Group, la principale società di trading di prodotti derivati, quali lo sono proprio le opzioni. Tuttavia, non tutti i sottostanti su cui scommettere sono uguali. Alcuni, come i Treasuries, godono di un mercato molto liquido, altri, come potrebbero essere i corporate bond “high yield” o quelli bancari subordinati nell’Eurozona, risultano quotidianamente molto meno tradati e presentano il rischio di imbrigliare l’investitore in posizioni che potrà chiudere con maggiore difficoltà.
Inoltre, si consideri che le opzioni put o call, rivendibili sul secondario, tendono a deprezzarsi man mano che ci si avvicini alla scadenza concordata, nel caso in cui il prezzo del bond sia fuori dal range favorevole a chi dovrebbe esercitarle, in quanto diminuiscono le probabilità proprio che tali opzioni si rivelino un affare. Poiché, come accennato, l’acquisto di una opzione call o put avviene dietro il pagamento di un premio, affinché l’operazione abbia un senso sarebbe necessario attendersi movimenti piuttosto cospicui dei prezzi, altrimenti il gioco non varrebbe la candela.