Ieri, mentre scrivevamo, il prezzo dell’oro era salito a 2.040 dollari l’oncia, segnando un nuovo massimo storico e guadagnando da inizio anno più del 34%. Secondo gli analisti, la corsa del metallo non è finita, perché le quotazioni arriveranno probabilmente in area 2.500 dollari entro pochi mesi. A sostenerle vi sono diversi timori, tra l’altro per la velocità della ripresa economica globale dopo il crollo del primo semestre. La crisi sanitaria nel mondo non è cessata, restando in auge nelle due Americhe.
L’oro non è mai stato così caro in dollari, così come nelle altre principali valute mondiali. Chi lo avesse acquistato nell’anno 2000 avrebbe realizzato oggi una maxi-plusvalenza del 570%, pari a un guadagno annuo medio composto del 10%. Nessun altro asset avrebbe reso così bene. E se il confronto venisse posto con un anno iniziale più remoto, le soddisfazioni risulterebbero ancora maggiori.
Era il 1971, quando l’amministrazione Nixon sganciò il dollaro dal metallo per l’impossibilità di garantirne più la convertibilità, prevista dall’Accordo di Bretton Woods del 1944. Da allora, il prezzo dell’oro veniva fissato a 35 dollari l’oncia. Dieci anni più tardi, esplodeva a 850 dollari, oltre 24 volte tanto. Da inizio anni Ottanta e fino ai primi del Duemila, le quotazioni scendono e si attestano in area 250 dollari, beneficiando del calo costante dell’inflazione presso tutte le principali economie mondiali. Dopodiché, la corsa riprende e stavolta l’inflazione non c’entra più, nonostante il balzo del petrolio potesse aver inizialmente lasciato intravedere una crescita dei prezzi al consumo più vigorosa. Ad essere prevalsi sono stati perlopiù altri timori, di natura geopolitica, se è vero che l’oro riprende a correre dopo gli attentati alle Torri Gemelle e allo scombussolamento internazionale che ne è seguito, lo stesso che, a dire il vero, in parte sostenne il boom delle quotazioni petrolifere.
Il prezzo dell’oro sale, quello del petrolio scende e questo alla lunga non si tiene
Oro come moneta universale
Con la crisi finanziaria globale del 2008-’09, il boom: l’oro passò di record in record fino a segnare il suo massimo (prima di quello aggiornato in questi giorni) a 1.921 dollari l’oncia agli inizi del settembre 2011, in coincidenza con la tempesta che infuriava nell’Eurozona e che si temette portasse alla scomparsa della moneta unica, effettivamente sfiorata nei mesi successivi.
Perché l’oro dovrebbe essere un bene rifugio e perché dovrebbe continuare a salire di prezzo nei prossimi mesi e anni? Nei 5.000 anni di storia dell’uomo, questo metallo ha sempre suscitato grosse attenzioni ovunque, percepito come un bene prezioso, tanto che le già le prime monete ne contenevano una certa quantità, così da essere accettate e apprezzate negli scambi, conservando il valore. Per l’oro si è ucciso, si sono commessi crimini efferati ai danni di interi popoli e ancora oggi si fanno carte false per mettere le mani sulle miniere da cui viene estratto. Questo, perché non è un bene quantitativamente illimitato e possiede un valore intrinseco, cioè non gli viene assegnato arbitrariamente da terzi, bensì riconosciuto spontaneamente dal mercato. Infine, è universale, nel senso che non esiste angolo del mondo e tribù sperduta che non lo accettino come mezzo di pagamento.
La fissa con l’oro potrebbe anche essere irrazionale, ma poiché non esistono dubbi sul fatto che rimarrà tale anche tra 10, 20 e 100 anni, tutti lo vogliono per conservare il valore dei propri averi nel tempo. Per questo, esso gode delle caratteristiche di una moneta globale.
L’aggancio delle monete all’oro è durata dalla notte dei tempi fino a quel fatidico, per certi versi maledetto, 1971. Con la fine di Bretton Woods, l’oro non è più l’asset che garantisce per il valore delle monete fiat e per ciò stesso queste risultano esposte alla volatilità, riflettendo il gioco della domanda e dell’offerta, a sua volta dipendente dai saldi commerciali e finanziari, nonché dalle sempre possibili manipolazioni delle banche centrali.
Prossima soglia 3.000 dollari?
Sarà un caso, ma ogni qualvolta nel Novecento si è allentato il legame tra moneta e oro, l’inflazione è esplosa. Accadde in entrambi i conflitti mondiali e si ripeté con le due crisi petrolifere del 1973 e 1979, quando le banche centrali, ormai avendo le mani libere di “stampare” tutta la moneta che desideravano, sono finite per alimentare una spirale dei prezzi conclusasi solo a inizio anni Ottanta, quando l’amministrazione Reagan negli USA e Thatcher nel Regno Unito restrinsero le condizioni delle rispettive politiche monetarie, alzando i tassi. Non a caso, l’oro iniziò a declinare, pur restando nettamente sopra i valori fissati con Bretton Woods.
La crisi provocata dall’emergenza Covid-19 ha spinto le banche centrali a varare stimoli monetari senza precedenti per dimensioni e velocità e i governi ad emettere debito in quantità smisurata rispetto alle dimensioni delle economie. Nei soli USA, il sostegno ai redditi quest’anno potrebbe sfiorare il 30% del pil, con un altro 15% di dollari già iniettati sui mercati dalla Federal Reserve.
Questo ci porta a prevedere una sfiducia crescente degli investitori verso il valore delle divise principali, data l’esplosione dell’offerta, nonché verso la sostenibilità dei debiti sovrani (e privati) in esse denominati. L’oro ci sguazza con queste previsioni, essendo l’unica vera alternativa di cui il mercato dispone per mettere in salvo i capitali. Il trend potrà anche non essere lineare, ma se abbiamo imparato qualcosa dalla lezione della precedente crisi globale è che nel lungo periodo prevalgono sempre le considerazioni fondate sui fondamentali, gli stessi che stanno deteriorandosi un po’ ovunque da quel terribile 2008. Forse, la prossima soglia a cui guardare sarà quella dei 3.000 dollari l’oncia.
Perché il prezzo dell’oro può esplodere con il prossimo passo della Federal Reserve?