Si chiama “Net Stable Funding Ratio” (NSFR) ed è un nuovo requisito di liquidità previsto da Basilea 3, l’insieme delle regole fissato al livello internazionale dopo la crisi finanziaria del 2007-’09 per rendere più solidi i sistemi bancari. E’ già entrato in vigore lunedì scorso nell’Unione Europea, mentre da oggi lo sarà anche negli USA. Esso riclassifica l’oro fisico (“allocated gold”) detenuto dagli istituti da Tier 3 (l’asset class più rischiosa) a Tier 1 (l’asset class a rischio zero).
L’obiettivo di Basilea 3 sarebbe chiaro: impedire che le banche dichiarino più oro di quello realmente posseduto. Le conseguenze, tuttavia, rischiano di essere molto forti per il mercato. Le banche saranno costrette ad accantonare capitale per coprirsi dal rischio legato alle detenzioni di oro di carta. Potrebbero reagire o fuggendo da questo mercato o accollandosi i costi, che a quel punto si trasferirebbero all’intera catena della mediazione creditizia.
Basilea 3 e l’impatto sul safe asset
Secondo Bank of America, invece, non dovrebbe accadere che le banche incrementino le detenzioni di oro fisico, sostenendone i prezzi. Il vero contraccolpo, comunque, è atteso dall’1 gennaio 2022, quando l’NSFR entrerà in vigore anche per il Regno Unito. E il London Precious Metal Clearing Limited è il principale mercato di trading del metallo prezioso. Non sfugge ai più che l’entrata in vigore della nuova stretta coincida con una fase di reflazione globale, la quale tendenzialmente dovrebbe impattare positivamente sulle quotazioni auree.
Il rischio principale per l’oro consiste nell’essere percepito complessivamente come un asset meno appetibile dal mercato, in quanto costoso da tenere a bilancio. Qualcuno ipotizza, esagerando, che verrebbe meno la sua natura di bene rifugio. Il vero punto di domanda è se l’obiettivo reale del regolatore internazionale non fosse di rendere l’oro un’alternativa sempre meno vantaggiosa alle monete fiat.