La corsa dell’oro è impressionante per la sua apparente inarrestabilità in questa fase. Le quotazioni del metallo hanno sfiorato i 2.200 dollari l’oncia questa settimana, toccando un ennesimo record storico nel giro di pochi giorni. La crescita da inizio anno si aggira intorno al 5%. In sé una doppia ambivalente. Positiva per chi ha investito e adesso ha la possibilità di rivendere a prezzi maggiori. Negativa per il suo possibile significato. L’oro è un bene rifugio. Gli investitori tendono ad acquistarlo quando temono l’arrivo di una crisi economica e/o finanziaria o quando ci sono tensioni geopolitiche in giro per il mondo.
Boom dell’oro segno di paura
Sul boom dell’oro staranno incidendo le due guerre più rilevanti in corso per i destini dell’umanità: quella tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas. Probabile anche che il mercato si premunisca contro una possibile recessione per l’economia americana dopo anni di crescita del Pil oltre le previsioni e alimentata da deficit fiscali giganteschi. In Europa, poi, le condizioni sono già deboli da tempo, pur se svelano una resilienza per certi versi inattesa.
Tassazione sull’oro quadruplicata in Italia
Per gli italiani, tuttavia, il boom dell’oro potrebbe essere arrivato nel momento sbagliato. Per dirla con maggiore precisione, sarebbe stato meglio che non fosse arrivato contestualmente anche il boom della tassazione. Vediamo di cosa stiamo parlando. C’è una legge del 17 gennaio del 2000, che in Italia consente formalmente a tutti i cittadini di comprare e vendere oro da investimento. Trattasi di quantità superiore a 1 grammo e di metallo con grado di purezza pari o superiore a 995 millesimi. Per le transazioni, incluse da e verso l’estero, superiori a 12.500 euro, va resa comunicazione all’Ufficio italiano cambi entro il mese successivo.
Questa liberalizzazione arrivò su impulso della direttiva 98/80/CE del Consiglio, data 12 ottobre 1998.
Come cambia la legislazione
Secondo l’allora legislazione in vigore, avremmo dovuto versare al fisco un’aliquota del 26% sui 1.500 euro incassati: 390 euro. Da questo punto di vista, nulla è cambiato. La novità, a partire da quest’anno, risiede in un altro punto: qualora il rivenditore non possegga la fattura relativa all’acquisto dell’oro per dimostrare al fisco il prezzo di carico. Fino al 31 dicembre scorso, in un caso del genere il fisco imponeva un calcolo forfetario. La plusvalenza andava calcolata su un quarto (25%) del valore incassato. Da quest’anno, si applica sull’intero importo.
Sempre con riferimento all’esempio precedente, a dicembre avremmo pagato il 26% sul 25% di 3.000 euro, cioè 195 euro. Da gennaio, pagheremmo il 26% su tutti i 3.000 euro, per cui 780 euro. Nei fatti, la tassazione sull’oro risulta essere quadruplicata. Il che è assurdo per diverse ragioni. Va bene la lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio di denaro, ma l’oro è un bene di investimento particolare. Molto spesso le famiglie lo tengono in casa anche per decenni e risulta difficile pensare che a distanza di così tanto tempo conservino la documentazione attestante l’acquisto.
Tassazione sull’oro inutilmente punitiva
Anche senza voler evadere il fisco, semplicemente è complicato dimostrare a quale prezzo molti anni prima si sia verificata la transazione. E imporre una tassazione sull’oro al 100% del ricavato equivale a supporre che l’acquisto in passato sia avvenuta a costo zero.