Le premesse erano state tutt’altro che confortanti, invece l’oro è riuscito a chiudere il 2022 in rialzo su base annua. Ad una quotazione superiore ai 1.823 dollari l’oncia, ha messo a segno un guadagno dell’1,5% rispetto alla fine dell’anno precedente, quando aveva chiuso poco sotto 1.800 dollari. Un apprezzamento molto contenuto, ma che diventa un +8% tradotto in euro. Come sappiamo, il metallo si scambia in valuta americana sui mercati internazionali, per cui per noi acquirenti dell’Eurozona i prezzi vanno successivamente convertiti in euro per valutarne le effettive variazioni intervenute in un dato lasso di tempo.
Boom argento con fine restrizioni anti-Covid
Ancora meglio ha fatto l’argento. In chiusura d’anno, ha sfiorato i 24 dollari contro i circa 22,40 di fine 2021. Il rialzo in dollari è stato del 6,5%, che raddoppia in euro: +13%! In questo caso, la tutela dall’inflazione è stata più che totale. Il dato risulta ancora più importante, se si considera che l’anno appena trascorso ha visto l’indice S&P 500 scendere del 20% e il mercato obbligazionario globale crollare come mai nel mezzo secolo precedente. Oro e argento si sono rivelati asset affidabili durante la tempesta. E non era scontato. Il boom dei rendimenti avrebbe dovuto far defluire capitali dalle due commodities, ma a fare la differenza probabilmente sono state le banche centrali. Esse sono tornate ad acquistare oro in quantità record.
C’è anche da dire che i rendimenti reali dei bond, anziché salire, hanno continuato a scendere a livelli mai così bassi. Infatti, non hanno affatto tenuto il passo con l’inflazione.
Oro spinto da avversione al rischio
C’è da dire che l’allarme lanciato ieri dal Fondo Monetario Internazionale circa le difficoltà in cui annasperebbe buona parte dell’economia mondiale quest’anno non deporrebbe a favore di ulteriori investimenti nell’argento. La recessione di parte dell’Eurozona e la stagnazione attesa per le altre principali economie frenerebbero la produzione. Al contrario, l’oro troverebbe ancora più smalto. Non solo l’avversione al rischio favorirebbe l’afflusso dei capitali verso il bene rifugio per eccellenza, ma la persistenza dell’inflazione spingerebbe molti investitori a restare fuori dal mercato obbligazionario. Lo stesso deprezzamento in corso del dollaro sosterrebbe le quotazione delle materie prime. Un ritorno sopra la soglia dei 2.000 dollari non sembra remota nei prossimi mesi.
E se queste sono riflessioni di breve periodo, sul lungo esisterebbero condizioni ancora più favorevoli all’oro. L’Asia punta a sganciarsi dalla dipendenza del dollaro. Ciò spiega la corsa al metallo di questi ultimissimi anni, accelerata dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali contro la Russia. La dedollarizzazione degli scambi commerciali e finanziari resta l’obiettivo finale della Cina, seconda potenza economica mondiale. E l’unica alternativa credibile al biglietto verde resta ad oggi l’oro.