L’oro alla Patria, Marco Liorni e il vero pericolo di un gesto storico incompreso

L'oro alla Patria fa discutere a quasi novanta anni di distanza. L'assenza di conoscenza storica resta il male più grande dell'Italia di oggi.
8 mesi fa
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Oro alla patria, significato reale di un gesto storico
Oro alla patria, significato reale di un gesto storico © Licenza Creative Commons

Con l’avvicinarsi del 25 aprile, data cerchiata in rosso sul calendario per la Festa della Liberazione, le polemiche attorno a un pezzo di storia nazionale non mancano. Un po’ come ogni anno a ridosso del Festival di Sanremo. Per l’edizione 2024 ci è andato di mezzo persino il buon Marco Liorni. Avete letto bene. Il popolare conduttore di Rai Uno è finito nella bufera per una frase pronunciata alla trasmissione L’Eredità sul celebre “oro alla Patria”. Replicando a un concorrente, lo ha definito “gesto veramente patriottico”.

Che a volersi attenere alla semantica, ha detto una cosa senz’altro vera. Ma in un’Italia in cui persino i concorsi per magistrati vengono annullati a seguito di strafalcioni linguistici grotteschi commessi dagli aspiranti giudici, tutto fa brodo per servire una zuppa di polemiche senza senso.

Cosa fu l’oro alla Patria

Cosa fu questo gesto dell’oro alla Patria? Siamo nell’ottobre del 1935. Giorno 3 il Regno d’Italia dichiara guerra all’Etiopia del negus Hailé Selassié, che non si aspettava di essere attaccato da un Benito Mussolini che ammirava apertamente. Al regime fascista serviva un “posto al sole” per diventare una potenza coloniale alla pari di Francia e Regno Unito. E proprio questi due Paesi chiamarono a raccolta le democrazie occidentali per punire l’atteggiamento di Roma. La Società delle Nazioni comminava il 6 ottobre sanzioni contro l’Italia. Gli Stati Uniti non vi aderirono, non essendo neanche membri dell’organizzazione. Lo stesso dicasi per la Germania nazista.

La consegna delle fedi nuziali, anche coattiva

In cosa consistettero le sanzioni? Nel vietare le esportazioni verso l’Italia di metalli utili alla produzione di armi. Continuò ad essere possibile l’importazione di petrolio e carbone, ben più vitali per la nostra economia. A quel punto, il regime reagì con una trovata propagandistica. Istituì per il 18 dicembre il Giorno della Fede.

La fede aveva un doppio significato, perché si trattava di consegnare allo stato gli anelli nuziali, pena anche punizioni. La regina consorte Elena fu la prima quel giorno a donare il suo nel corso di una manifestazione all’Altare della Patria. La seconda fu Rachele Mussolini.

In tutto, i resoconti dicono che lo stato raccolse 33,6 tonnellate di oro e 93,5 tonnellate di argento. L’evento fu un grande successo mediatico, e non solo. L’invito a donare l’oro alla Patria fu raccolto persino dal clero. Molti prelati consegnarono gli ex voto dei fedeli per contribuire alla causa bellica. Il regime ne uscì rafforzato. Dimostrò alle potenze rivali che lo spirito degli italiani fosse fiero e affatto piegato dalle sanzioni.

Gesto più simbolico che economico

Sul piano più strettamente economico a cosa servì? L’oro alla Patria fu trasferito alla Zecca dello stato e vi rimase come patrimonio nazionale. Esso sarebbe stato eventualmente impiegato per aumentare le riserve con cui pagare le importazioni di beni dall’estero, non necessariamente solo i metalli sotto embargo. E’ evidente che l’espediente in sé sarebbe risultato insufficiente a sostenere una lunga fase di sanzioni. In realtà, queste si rivelarono blande per il fatto che coinvolgessero pochi stati, escludendo economie forti come gli Stati Uniti. Ricordiamoci che fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia fascista non era vista negativamente né dall’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt, né dalla stessa Londra con il premier Winston Churchill.

Fu un gesto patriottico? Lo dice la stessa espressione. Si trattò di patriottismo in parte coattivo, nel senso che o consegnavi le fedi o ti consegnavi ai carabinieri. Una minaccia più teorica che pratica, ma forse funzionò. La verità è che molte famiglie, tra cui numerosi intellettuali come Benedetto Croce, aderirono spontaneamente alla sollecitazione del regime fascista.

E lo fecero nella convinzione che si trattasse di un gesto doveroso in favore della Nazione. Attenzione a confondere la Patria con il governo o regime di turno. I due concetti non necessariamente coincidono nella percezione anche popolare. Molti italiani in buona fede consegnarono l’oro “alla Patria”, non al Duce e al suo uso eventualmente negativo che ne avrebbe fatto.

Fu superamento della logica liberale

A distanza di novanta anni, perché questo evento ignoto alla gran parte dei giovani italiani lacera il dibattito politico? C’è un uso strumentale della storia, ma il vero problema è che questa non sembra insegnare nulla a nessuno. Se vogliamo dedurre dall’oro alla Patria un’accezione negativa, essa risiede nella volontà del fascismo di dimostrare al resto del mondo il superamento della logica “individualista” delle democrazie liberali. Il Duce nella sostanza dimostrò ai governi stranieri che in Italia fossimo un corpo e un’anima, lontani dalle logiche e dalle tentazioni del pensiero liberale. L’individuo e i suoi interessi vennero cancellati in favore dell’interesse nazionale.

Questa lettura dell’evento non è conveniente a nessuno nell’Italia di oggi. La politica fa appello in misura crescente e da ogni parte al superamento dell’individualismo e pretende che il cittadino s’identifichi con le necessità dello stato nazionale o, addirittura, delle istituzioni comunitarie. La sinistra, che tanto attacca con veemenza un conduttore per una frase correttissima sull’oro alla Patria, avrebbe poco da recriminare. Le sue pulsioni stataliste e anti-liberali da sempre la rendono una fautrice del superamento della logica borghese nell’interesse delle istituzioni e della macchina amministrativa distributrice di prebende e redistributrice di ricchezza.

Oro alla Patria anche nel ’92 con prelievo forzoso

Mussolini mise le mani in tasca agli italiani, anzi sfilò dai loro anulari le fedi per finanziare imprese belliche dall’interesse nazionale discutibile. Con l’innovazione tecnologica fu possibile replicare qualcosa di simile nel 1992 con il prelievo forzoso dai conti correnti, per cui non servì alcuna propaganda di stato, essendo avvenuta senza preavviso in un’oscura notte di luglio.

Fu ragion di stato anche in quel caso, in barba ai diritti individuali e alle logiche di uno stato liberale. Solo molto meno scenografico. Qualcuno a sinistra va ancora orgoglioso per quell’esperienza, che ebbe risvolti devastanti per il rapporto di fiducia che si venne a spezzare del tutto tra cittadini e istituzioni. Più che del vecchio oro alla Patria, dovremmo tremare all’idea che i governanti usino le emergenze per mettere a tacere le resistenze alla loro bulimia fiscale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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