L’oro non smette di stupire, anzi non fa più notizia che segni sempre nuovi record. Ieri, la quotazione ha oltrepassato i 2.600 dollari l’oncia, segnando un rialzo su base settimanale superiore al 4% (al 3% in euro). Non è stato da meno l’argento, che è balzato sopra i 30 dollari per oncia, registrando un boom del 10% in sette giorni. Il metallo giallo corre ormai quasi ininterrottamente da anni. E per quanto possa fare piacere a chi vi ha investito in tempi non sospetti, la Svizzera non può che guardare al boom dell’oro con rassegnata autofustigazione.
Oro Svizzera, Accordo di Washington
Eravamo nel 1997 quando il presidente della confederazione elvetica commissionò un rapporto per stabilire l’adeguatezza delle riserve auree della Banca Nazionale Svizzera (BNS). L’esito fu chiaro: all’istituto non servivano 1.300 tonnellate di oro in rapporto al suo capitale. La politica si convinse che non vi fosse ragione per detenere oltre 2.500 tonnellate. Troppe per un paese di così piccole dimensioni. Allora, contava poco più di 7 milioni di abitanti. Decise di mettere mano alla Costituzione, un evento assai raro nella storia del paese alpino. Un successivo referendum approvò la dismissione di 1.300 tonnellate di oro.
Senonché, nel maggio del 1999 anche la Banca d’Inghilterra fu folgorata dalla geniale idea di vendere 415 tonnellate di oro. A quel punto, la quotazione internazionale crollò del 10%. Per evitare un impatto disastroso sui mercati, le principali 15 banche centrali del tempo si riunirono negli Stati Uniti. Furono le 11 dell’allora Eurozona, oltre alla Riksbank svedese, la stessa BNS, la Banca d’Inghilterra e la Banca Centrale Europea appena nata. Firmarono l’Accordo di Washington sull’Oro. Formalmente, Federal Reserve e Banca del Giappone si tennero fuori, ma s’impegnarono pubblicamente a non vendere parte delle loro riserve.
Vendite di oro concordate tra banche centrali
Cosa previde quell’accordo? Le banche centrali aderenti avrebbero limitato le vendite a 2.000 tonnellate in 5 anni, cioè al ritmo di 400 all’anno.
All’interno dell’Accordo di Washington le cessioni avvennero al prezzo medio di 351,40 dollari. Se oggi la Svizzera detenesse quell’oro, le sue riserve varrebbero intorno a 85 miliardi di dollari in più, circa il 10% del Pil. Denaro bruciato per un calcolo a dir poco errato. Nessuno si aspettava a fine anni Novanta che l’oro avrebbe corso così tanto nei decenni seguenti. Anzi, domata l’inflazione e nata la moneta unica con la fine dell’instabilità valutaria nel cuore dell’Europa, la sensazione era che del bene rifugio non vi sarebbe stato più bisogno.
Sfiducia verso monete fiat, ma franco svizzero da record
La Svizzera possiede oggi 1.040 tonnellate di oro, che restano tante per un’economia con meno di 9 milioni di abitanti. Il punto è che oggi sarebbe stata considerata ancora più sicura e potente con riserve auree più che doppie. Per sua fortuna il cambio non ha fatto la stessa fine. Il franco svizzero ha guadagnato da inizi anni Duemila circa il 60% contro l’euro e oggi vale intorno ai massimi di sempre. In questo dato c’è tanto della forza dell’economia alpina, ma soprattutto della debolezza dell’Area Euro.
Dopo i cattivi esempi di Svizzera e Regno Unito, nessun’altra grande banca centrale ha annunciato più piani per vendere oro. Al contrario, specie in Asia quasi si ostentano gli acquisti. La politica teme questo trend, in quanto segnala la scarsa fiducia dei mercati e delle stesse istituzioni di mezzo mondo verso le monete fiat come dollaro, euro, sterlina, ecc.
Oro Svizzera, errore storico imperdonabile
Le maxi-vendite di oro in Svizzera saranno ricordate per sempre come una mossa sbagliata, che partiva una premessa inficiata da considerazioni fallaci. Col senno di poi siamo tutti grandi investitori, è vero. Tuttavia, sembra imperdonabile che una banca centrale così esperta abbia preferito decenni or sono scambiare un safe asset con denaro sonante. Gli anni dell’inflazione a due cifre e dell’instabilità dei tassi di cambi non avevano insegnato nulla. E’ proprio vero che la storia sia una grande maestra senza alunni.