Anche il Centro studi di Confindustria conferma il cauto ottimismo nell’aria sull’economia italiana. Eviteremmo la recessione persino nel primo trimestre. Il Fondo Monetario Internazionale, che nelle previsioni autunnali stimava in leggero calo il PIL nel 2023, adesso intravede un +0,8%. Il governo Meloni ha fissato il tasso di crescita per quest’anno allo 0,6%, per cui andrebbe meglio delle stime ufficiali. A dare una mano al PIL c’è la discesa dei prezzi dell’energia. Il gas era arrivato a costare 340 euro per Mega-wattora alla fine di agosto, mentre la scorsa settimana è sceso sotto 50 euro.
Non solo boom economia italiana
Non c’è dubbio che le prospettive per l’economia italiana stiano migliorando anche per la previsione di tassi d’interesse in rialzo più contenuto di quanto temuto dagli analisti nella seconda metà dello scorso anno. Per Confindustria, il ciclo restrittivo si concluderebbe nel corso di quest’anno. Ma la vera scommessa è adesso continuare a crescere, al netto degli effetti della crisi energetica, senza fare debiti. Nel biennio 2021-’22, il nostro PIL è cresciuto di quasi 250 miliardi di euro in termini nominali, rimbalzando del 10,9% in termini reali. Allo stesso tempo, il debito pubblico è salito di altri 190 miliardi (+7,4%).
Il rapporto tra debito e PIL è sceso, tuttavia, dal 154,9% a qualcosa come il 145% stimato per fine 2022. Nel periodo che va dal 2007 al 2019, prima dell’era Covid, l’economia italiana risultò cresciuta di appena 180 miliardi, a fronte di +730 miliardi di debito pubblico. Questo significa che il PIL crebbe di 1 euro per ogni 4 euro di maggiori debiti.
Guardate cosa sta accadendo al Superbonus. Il governo Meloni lo ha sostanzialmente cancellato con il decreto della settimana scorsa. Non entriamo nel merito di questa decisione. Vogliamo rimarcare che da un lato la premier ha giustificato la scelta adducendo ragioni di sostenibilità fiscale, mentre dall’altro l’ex premier Giuseppe Conte, fautore del maxi-incentivo, ha dichiarato che “il PIL volava con il Superbonus”. In altre parole, in gran parte del dibattito politico e pubblico si concepisce la crescita dell’economia italiana legata solo all’indebitamento. Si reclama da ogni parte “flessibilità fiscale” all’Unione Europea, “altrimenti non cresciamo”.
Debito pubblico continua a correre
Nel migliore dei casi, siamo un paese dai connotati ideologici iper-keynesiani. Ma in realtà di ideologia ce n’è davvero poca a Roma. Semplicemente, non si vogliono compiere scelte per stimolare il tasso di crescita nel medio-lungo periodo. E si scaricano le non scelte sul debito pubblico, nella speranza che sostenga i consumi e gli investimenti almeno nel breve periodo. Non andremo da nessuna parte se usciremo da pandemia e guerra con la stessa mentalità con cui ci siamo entrati. D’altra parte, il governo giallo-rosso nel 2020 fece esplodere il debito di 160 miliardi, ottenendo in cambio un crollo del PIL del 9%. L’anno successivo, con Mario Draghi premier altri 105 miliardi di debito. Perlomeno, però, l’allentamento delle restrizioni fece rimbalzare il PIL del 6,7%.
E l’anno scorso, che possiamo considerare praticamente tutto “draghiano”, il debito è salito ancora di quasi 95 miliardi con un PIL a +3,9%. Per quest’anno, crescita reale attesa sotto l’1% e altri 90 miliardi di deficit. Il risanamento fiscale non dovrà avvenire perché “ce lo chiede l’Europa”, bensì perché serve che l’economia italiana resti su un percorso di crescita a basso o nullo indebitamento pubblico.