Chiamatela guerra dei poveri, eppure tra lavoratori e contribuenti c’è sempre la solita querelle. Paga più tasse il dipendente o la Partita Iva? Qualsiasi lavoratore, che sia nella prima categoria o nella seconda, vi dirà che le tasse in Italia sono un autentico salasso. Ed effettivamente come dargli torto? Però se parliamo con la prima categoria, ovvero con i lavoratori dipendenti, ecco che secondo il loro parere, le tasse le pagato in misura maggiore loro.
Perché le Partite Iva possono nascondere qualcosa (sospettando quindi evasione fiscale), mentre loro, dove tutto è registrato in busta paga, non possono. Se invece parliamo con i lavoratori autonomi tutto cambia.
Secondo loro sono assoggettati a troppe tasse, che erodono gran parte del loro reddito. E se hanno dei dipendenti, sono loro alla fine a pagare per i dipendenti, nel senso che il costo del lavoro e quindi anche le tasse che versano quando danno lo stipendio ad un subordinato, sono loro a pagarli. Punti di vista di quella guerra tra poveri di cui parlavamo in precedenza. Ma allora, paga più tasse il dipendente o la Partita Iva? La domanda resta questa, e adesso vedremo di capire come risolvere il rebus.
Paga più tasse il dipendente o la Partita Iva? ecco la verità tra forfettario e ordinario
La tassazione in Italia è fatta in modo che chi più ha più paga. Una affermazione che farà storcere il naso a chi sottolinea sempre come la progressività dell’imposta non sia equa. Prendiamo per esempio l’IRPEF. Oggi esiste l’Imposta a 3 scaglioni. Il primo scaglione è quello che va usato per i redditi fino a 28.000 euro.
L’aliquota è pari al 23%. Significa che, al netto delle detrazioni che abbattono l’importo dovuto, ogni 1.000 euro di reddito su questi 28.000 euro l’interessato è assoggettato ad una IRPEF da 230 euro. Sopra i 28.000 euro e fino a 50.000 euro l’aliquota sale al 35%. Infine è pari al 43% per la parte di reddito oltre 50.000 euro. Uno stipendio di una insegnante che magari è pari a 1.900/2.000 euro lordi, scende a 1.400 euro come netto.
Dallo stipendio lordo allo stipendio netto, ecco i calcoli
Per capire dal lordo al netto uno stipendio, si parte dal reddito annuo lordo detto comunemente RAL. Un lordo dato da stipendio base, straordinari e così via dicendo. Poi bisogna togliere la quota di contributi INPS a carico del lavoratore (il 9.19% sul 33% di contributi totali, il resto è a carico del datore di lavoro). Infine bisogna sottrarre IRPEF, addizionali comunali e addizionali regionali, ma al netto delle detrazioni per lavoro dipendente.
Per redditi fino a 15.000 euro, la detrazione è pari a 1.955 euro. Significa che se su 15.000 euro l’IRPEF dovuta è pari a 3.450 euro (il 23%), in effetti il prelievo per il dipendente è di 1.500 euro. Più sale lo stipendio meno valgono le detrazioni, e naturalmente più IRPEF si paga. Peggio se lo stipendio sfonda il limite del primo scaglione finendo con l’aliquota al 35% del secondo scaglione per la parte di reddito eccedente.
E ancora peggio con 50.000 euro di reddito.
IRPEF lavoro autonomo e lavoro dipendente, paga più tasse il primo o il secondo?
Nel lavoro autonomo le aliquote IRPEF sono le stesse. Però è anche vero che il regime forfettario per chi vi rientra, aiuta.
Non c’è IRPEF, ma si versa un’imposta sostitutiva del 15% o del 5% per i primi 5 anni nel caso di nuova attività. Chi invece è nel regime ordinario, versa l’IRPEF con gli scaglioni prima esposti. Possono rientrare nel regime forfettario i lavoratori autonomi che hanno un incasso fino ad 85.000 euro l’anno (si guarda all’anno precedente).
Evidente che alla domanda sul chi paga più tasse, il dipendente o la Partita Iva, se guardiamo al regime forfettario è abbastanza semplice. Nel regime ordinario invece è tutto identico, anche se poi possiamo entrare nelle polemiche che si fanno riguardo alla possibilità di evadere che gli autonomi hanno e che i dipendenti non hanno.
Paga più tasse il dipendente o la Partita Iva? risposta impossibile da dare
Attenzione però. Se parliamo di stipendio lordo che diventa netto, oppure se parliamo di reddito lordo che diventa netto per gli autonomi, non si possono tralasciare i contributi INPS. Nel lavoro dipendente come detto, il 9,19% è a carico del lavoratore, mentre il 23,81% è a carico del datore di lavoro.
Nel lavoro autonomo i contributi li versa tutti il diretto interessato. Per autonomi e professionisti il pagamento di contributi è calcolato in percentuale sul reddito netto dichiarato. Per esempio nella Gestione separata gli interessati versano il 26,23% se professionisti non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie ed il 24% per chi ha già una copertura previdenziale.
Per artigiani e commercianti invece, c’è una quota fissa che prescinde dal reddito ed è pari a circa 4.000 euro all’anno ed una quota variabile del 24% sulla parte di reddito che supera i 17.504 euro. Pure in questo caso chi rientra nel regime forfettario gode di una riduzione del 35% sia della quota fissa che di quella variabile.
Paga più tasse il dipendente o la Partita Iva? In linea generale una risposta non si può dare. Certo, nel regime forfettario il lavoratore autonomo ha dei vantaggi. Ma ha anche degli svangtaggi, come per esempio l’impossibilità di scaricare spese dal reddito.
Oppure l’impossibilità di assumere collaboratori se non quelli al di sotto di 20.000 euro di stipendio annuo. E poi, bisogna tenere al di sotto degli 85.000 euro gli incassi, altrimenti si passa subito nell’ordinario.
Nessun autonomo versa contributi con le percentuali da voi indicate. Avvocati, ingegneri, commercialisti, giornalisti ecc. Pagano aliquote intorno al 15%. Meloni ha poi regalato ad artigiani e commercianti una riduzione del 50% e ai professionisti del 35%. I professionisti scaricano poi sul committente il 4% dei contributi. I forfettario non pagano le addizionali comunali e regionali e non è vero che non possono scaricare le spese; lo fanno in misura forfettaria con percentuali varie stabilite dal ministero. I dipendenti e pensionati non possono evadere, gli autonomi si può solo “sospettare” che evadono: allora in Italia chi evade?