Il pagamento in contanti è oggetto di discussione nelle ultime settimane: per combattere l’evasione fiscale, il nuovo Governo starebbe pensando di tassare i pagamenti in contanti e prevedere un incentivo alle transazioni con carta di credito. Spesso infatti, staticamente, dietro il pagamento in contanti si cela una transazione in nero. Non sempre è così: a meno che non sono espressamente previsti metodi di pagamento in contanti (ad esempio oltre la soglia massima di tracciabilità oppure per avere diritto ad alcune detrazioni fiscali), consegnare banconote direttamente nelle mani di chi incassa non è vietato in linea di massima.
Della questione si è occupato di recente il Tribunale di Napoli (n. 4272/2019 del 2.09.2019), che ha affermato un principio che potrebbe tornare utile.
Pagare in contanti: la testimonianza dei presenti ha valore probatorio?
Anche per i contratti, se non espressamente prevista una forma scritta (che sia scrittura privata o un atto notarile), la normativa non impone particolari requisiti. Sono ammessi accordi verbali.
Il codice civile ammette la prova dei testimoni per le operazioni di pagamento in contanti. L’articolo 2721 prevede espressamente che “la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede euro 2,58.
Tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza”.
L’importo a cui fa riferimento lascia presagire che si tratti di una disposizione non aggiornata. E’ ancora attuale?
Il fatto che non sia stato modificato l’importo si deve, a ben vedere, all’ultimo inciso. Di fatto ogni caso viene valutato a sé, tenendo conto anche della natura delle parti e dei vincoli di parentela o amicizia che possono aver portato a trascurare l’esigenza di un accordo scritto.
Prova del pagamento tramite testimoni: ci si può opporre solo in primo grado?
La Cassazione, in alcune sentenze degli anni passati, aveva anche chiarito che i limiti di valore previsti dal codice civile relativamente all’ammissibilità della prova tramite testimoni, non si riferiscono ad una ragione di ordine pubblico, ma sono stati fissati esclusivamente nell’interesse delle parti; di conseguenza, qualora la prova venga ammessa in primo grado oltre i limiti sopra citati, essa deve ritenersi acquisita se la parte interessata non ne abbia richiesto l’inammissibilità tempestivamente e in sede di assunzione o nella prima difesa successiva entro il medesimo grado del processo; in questo caso, la presunta nullità, si intende sanata e, di conseguenza, non può essere eccepita per la prima volta in grado di appello o in Cassazione, neanche dalla parte che era stata contumace nel giudizio di primo grado.