Sarebbe Bassirou Diomaye Faye, 43 anni, il vincitore delle elezioni presidenziali in Senegal di ieri. I risultati arriveranno ufficialmente solo nei prossimi giorni, ma i suoi sostenitori hanno festeggiato già la notte scorse in base ai dati usciti dai seggi. Non si sa ancora, però, se abbia ottenuto la soglia del 50% necessaria per evitare il ballottaggio. Difficile che possa essere avvenuto, essendosi candidati in diciannove. Cinque di loro hanno già rivolto gli auguri al presunto vincitore, al termine di una campagna elettorale durissima, a tratti violenta e che ha visto mettere per la prima volta in discussione il franco CFA.
Economia in Senegal in forte crescita
Il Senegal è considerato il paese africano con la democrazia più stabile e con una delle economie migliori. Indipendente dalla Francia sin dal 1960, non ha mai vissuto un colpo di stato. Le istituzioni funzionano. Al potere sin dal 2012 vi è stato il presidente uscente Macky Sall. Sotto di lui, il Pil è cresciuto in media del 5% all’anno grazie alle liberalizzazioni, all’apertura del mercato agli investitori stranieri e al via libera alle trivellazioni off-shore di petrolio e gas. Eppure da tre anni Dakar è teatro di scontri mai visti prima. Sall ha cercato di candidarsi per un terzo mandato, vietato dalla Costituzione. Le elezioni erano state programmate per il 25 febbraio, ma poi rinviate per dicembre. E’ dovuto intervenire il Consiglio Costituzionale per imporre una nuova data prima del 2 aprile, scadenza del mandato per il presidente in carica.
Faye correva al posto di Sonko
Nel frattempo, il suo principale oppositore politico, il popolarissimo Ousmane Sonko, è stato arrestato con l’accusa di diffamazione. Le proteste di piazza sono esplose e due settimane fa Sall è stato costretto a concedere l’amnistia per cercare di placare gli animi. Ma non avendo fatto in tempo a candidarsi, al suo posto ha corso Faye con il motto “Diomaye mooy Sonko” (“Diomaye è Sonko”).
Tra i punti principali del programma di Faye vi sono la riforma monetaria e la rinegoziazione degli accordi sulle esplorazioni di petrolio e gas per giungere a una spartizione più favorevole alla compagnia statale rispetto ai partner stranieri. Faye ha ammorbidito i toni nelle ultimissime settimane contro il franco CFA. Ad ogni modo, ha ribadito che, se eletto, cercherà di rinegoziare l’unione monetaria a livello regionale. In caso di fallimento, introdurrà una moneta nazionale per riacquisire l’indipendenza economica. Un obiettivo contrastato dal candidato governativo Amadou Ba, secondo cui il Senegal non sarebbe nelle condizioni di percorrere una tale via.
Come funziona il franco CFA
Il franco CFA è una moneta condivisa da due gruppi di paesi. Ci sono gli otto dell’Africa occidentale (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) e i sei dell’Africa centrale (Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo). Tranne Guinea-Bissau e Guinea Equatoriale, sono tutte ex colonie francesi. Questa moneta ha garantito nei decenni stabilità economica e finanziaria, tra l’altro tenendo bassi i tassi d’inflazione. Per molti politici locali, tuttavia, è il segno del predominio francese anche dopo la fine dell’era coloniale.
Il franco CFA era agganciato al franco francese da un tasso di cambio fisso fino al 1998. Dal 1999 risulta, chiaramente, ancorato all’euro. Perché Faye ne mette in discussione l’esistenza? Malgrado le buone condizioni dell’economia senegalese, un terzo dei giovani di età compresa tra 15 e 35 anni non ha un lavoro e la popolazione under 25 qui incide per il 60% della popolazione. Lo dimostra il fatto che ieri, a fronte di 18 milioni di abitanti, gli aventi diritto al voto fossero appena 7,3 milioni.
La maxi-svalutazione del ’94
I critici come Faye ritengono che la bassa occupazione sia conseguenza di un franco CFA sganciato dai fondamentali dell’economia locale. Il cambio sarebbe troppo forte. Da un lato, garantirebbe la stabilità dei prezzi, ma dall’altro renderebbe le imprese domestiche poco competitive. Il tema esiste da sempre. Nel 1994 vi fu una svalutazione concordata del 50% con la Francia e il Fondo Monetario Internazionale. Un franco francese, che fino al 31 dicembre del 1993 valeva 50 franchi CFA, dal giorno dopo ne valse 100. La crescita del Pil accelerò al 5% in media nei paesi dell’unione monetaria, mentre l’inflazione, pur in risalita, rimase sotto controllo.
Parigi è in allarme. Il franco CFA rappresenta quel cordone ombelicale che ancora la lega al suo passato coloniale in Africa. Il Tesoro francese detiene almeno il 65% delle riserve valutarie dei paesi aderenti ai due blocchi, in cambio delle quali garantisce per la stabilità valutaria. Un sistema “win-win”, ma che ha il difetto di non essere percepito come “volontario”. Nei fatti, nessun paese si è ad oggi azzardato a minacciare l’uscita dall’unione monetaria. Anzi, lo fece il leggendario (e sanguinario) leader comunista Thomas Sankara negli anni Ottanta per il Burkina Faso. Venne assassinato in circostanze parzialmente misteriose.
Franco CFA, difficile l’uscita del Senegal
In Francia l’esito elettorale di ieri non sarà certamente accolto favorevolmente. Il paese ha perso negli anni molta influenza nell’area. Basti pensare ai colpi di stato in Mali e Niger, i quali hanno deposto l’establishment politico vicino all’Eliseo. L’attacco al franco CFA sarebbe un detonatore se fosse portato a compimento. Gli osservatori si aspettano che, in caso di vittoria, Faye si concentrerà su altri punti del programma e che, eventualmente, si limiterà a chiedere qualche modifica al meccanismo di cambio per potenziare la competitività delle economie locali.