Perché le parole di Schnabel (BCE) hanno una doppia valenza negativa per i titoli del debito italiano

I titoli del debito pubblico italiano hanno visto risalire lo spread sopra 130 punti dopo le affermazioni della tedesca Isabel Schnabel (BCE).
6 mesi fa
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Titoli del debito pubblico giù su parole di Schnabel (BCE)
Titoli del debito pubblico giù su parole di Schnabel (BCE) © Licenza Creative Commons

Cresce l’attesa per il taglio dei tassi di interesse, che ormai tutti danno per scontato il prossimo 6 giugno. In quella data si riunisce il board della Banca Centrale Europea (BCE) e persino un “falco” come la consigliera esecutiva Isabel Schnabel si è convinta che sia arrivato il momento di ridurre il costo del denaro. Ma dopo le affermazioni di ieri della tedesca, rese durante un evento a Tokyo, i titoli del debito pubblico italiano hanno visto risalire lo spread decennale con i Bund sopra quota 130 punti base.

Risalita spread per titoli debito pubblico italiano

Nei giorni precedenti, sempre Schnabel aveva mostrato cautela sull’eventuale bis a luglio. La Germania guida il fronte delle banche centrali prudenti sull’allentamento monetario, temendo i rischi per l’inflazione derivanti da eventi imprevisti come le tensioni geopolitiche, così come anche dalla corsa dei salari. Ieri, però, sono state altre le parole che hanno affievolito i titoli del debito pubblico italiano. L’economista ha sostenuto che il Quantitative Easing (BCE) avrebbe frenato l’efficacia del rialzo dei tassi negli ultimi due anni. In sostanza, avrebbe prolungato il periodo di tempo necessario per ottenere la discesa dell’inflazione nell’Eurozona.

Questa è rimasta invariata al 2,4% in aprile, sopra il target del 2% della BCE. E il dato “core”, al netto di energia e generi alimentari freschi, è sceso dal 2,9% al 2,7%, sempre restando sopra l’obiettivo. Secondo Schnabel, l’esperienza degli ultimi quindici anni insegnerebbe che il sostegno degli stati alla domanda aggregata si riveli più efficace del QE. Per il futuro, ha proseguito, sarebbe opportuno che gli acquisti dei bond fossero più “mirati” e “parsimoniosi”. Inoltre, la BCE dovrebbe avere la possibilità di chiudere il programma più velocemente se le condizioni lo richiedessero.

QE futuro mirato e più magro

Queste parole hanno una doppia valenza negativa per i titoli del debito pubblico italiano.

Anzitutto, perché prospettano un sostegno futuro meno generalizzato e generoso a favore del mercato dei bond. La BCE ha in pancia attualmente circa 2.900 miliardi di euro di obbligazioni pubbliche e corporate, acquistate sin dal marzo del 2015. Una montagna di debiti di stati e società private, che per la BCE costituiscono da un lato crediti, dall’altro rischi sul piano patrimoniale e della sua indipendenza dalla sfera politica. Con il rialzo dei tassi, ad esempio, il valore dei bond è crollato e per la BCE risulterebbe eventualmente costoso rivenderli prima della scadenza. Ciò segnala limitazioni alla sua policy, un fatto che ne mette a repentaglio la credibilità e l’efficacia delle misure stesse varate.

Ma il QE è stato un toccasana per i titoli del debito pubblico italiano, grazie al quale oggi un quarto dello stock risulta a bilancio della BCE, sottratto sostanzialmente alla possibile speculazione sui mercati. Il QE è stato già azzerato e, anzi, Francoforte sta riducendo i bond al suo attivo, non rifinanziando le scadenze sin dal luglio dello scorso anno. Acquisti soltanto mirati e limitati in futuro, all’infuori delle crisi, segnalerebbero un minore sostegno strutturale ai titoli del debito di stati fiscalmente in panne come l’Italia.

Attenzione si sposta su politica fiscale

L’aspetto più interessante, tuttavia, delle parole di Schnabel è un altro e anch’esso assume una connotazione negativa per i nostri titoli del debito pubblico. La tedesca afferma che sia stata la politica fiscale (“lo stato”) ad essersi rivelata più efficace del QE nel sostenere la domanda aggregata. In effetti, solo quando i governi con il Covid hanno aperto i cordoni della borsa c’è stata una ripartenza dei consumi interni e, di conseguenza, anche dell’inflazione. Ma questo ragionamento comporta due cose. La prima è che Schnabel stessa ammette che, in reazione a una possibile crisi futura, gli stati dell’Eurozona emetterebbero più debiti.

E la maggiore offerta farebbe lievitare i rendimenti e scendere i prezzi.

La seconda è ancora più capziosa: se la domanda la si può sostenere emettendo titoli del debito pubblico, solamente i governi che dispongono di margini fiscali potranno permetterselo. E l’Italia non è tra questi. Dunque, le parole di Schnabel tradiscono la posizione del Nord Europa, che possiamo riassumere così: “ognuno per sé e Dio per tutti”. Ma il rischio sovrano dipende anche dalla capacità di offrire sostegno all’economia domestica. Se questa viene meno, il primo si alza. Il mercato sconterebbe, infatti, un tendenziale innalzamento del rapporto tra debito e Pil per la discesa del secondo.

Titoli debito pubblico colpiti da Schnabel

In definitiva, ieri lo spread si è ampliato fin sopra 130 punti per la reazione dei mercati a quello che sembra un punto di vista pesante di un esponente della BCE e con effetti negativi per i titoli del debito pubblico italiani nel medio-lungo termine. Le posizioni in seno al board, comunque, sono variegate. Di recente la Francia si sta muovendo per ottenere persino una riforma dello statuto sul modello del doppio mandato della Federal Reserve. Il taglio dei tassi di interesse si accompagnerà nei prossimi mesi a una vivace discussione su cosa vorrà fare da grande la BCE.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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