L’apertura di una Partita Iva significa l’ingresso nel mondo del libero professionismo. E, per estensione, dell’attività lavorativa soggetta a una tassazione da versare obbligatoriamente e in forma autonoma. A meno che non subentrino determinate condizioni.
Non è facile né tantomeno scontato conoscere i dettagli della propria modalità di regime, nemmeno dopo averlo effettivamente avviato. Spesso, infatti, l’apertura di una Partita Iva viene effettuata tramite l’aiuto di un professionista, che si occuperà della gestione della situazione dichiarativa (e quindi fiscale) del titolare, interagendovi per determinare i periodi e gli importi per il versamento della propria contribuzione.
Tecnicamente, la Partita Iva sarebbe uno strumento con una certa utilità, non solo per regolare la propria professione ma anche per valutarne la fattibilità una volta in ballo. Spesso, infatti, tale mezzo diventa una sorta di volano per comprendere al meglio le potenzialità della propria attività e determinarne le eventuali criticità rispetto alla vita quotidiana. Di rimando, l’apertura significa porsi in rapporto diretto col fisco, agendo nelle regole imposte e tenendo personalmente sott’occhio le relazioni con gli enti preposti alla verifica contributiva e dichiarativa del professionista. Al quale, nel caso in cui si presentassero determinate condizioni, potrebbe essere proposto un regime agevolato. Magari forfettario, oppure il cosiddetto “regime dei minimi”. Soluzioni apparentemente simili ma, in realtà, differenti sotto vari aspetti.
Partita Iva, dal regime dei minimi alla forfettaria: vantaggi e svantaggi
Tendenzialmente, entrambe le soluzioni riguardano professionisti che svolgono attività tutto sommato ordinarie o comunque con introiti non più elevati rispetto a un lavoratore dipendente. E, in tutti e due i casi, la proposta consente l’introduzione di un regime fiscale semplificato e supportato da numerose agevolazioni “compensative” all’assenza di un guadagno tale da pareggiare le spese. Chiaramente, il focus agevolativo – almeno per quel che riguarda il regime dei minimi – è rivolto a coloro che sono costretti all’apertura di una Partita Iva in giovane età.
Ancora una volta, il fisco tenta quindi di strizzare l’occhio al professionismo disponendo qualche appiglio normativo. È altrettanto chiaro, però, che tale situazione non potrà durare in eterno. Chi ha optato per una soluzione di questo tipo tra il 2008 e il 2016, potrà beneficiarne sino al compimento dei 35 anni. Per i richiedenti successivi, vista l’abrogazione del sistema proprio nel 2016, il passaggio non si porrà nemmeno.
La legge 190/2014 ha introdotto ufficialmente il regime forfettario in sostituzione del precedente, sempre in un’ottica di semplificazione fiscale. Con alcune divergenze sostanziali, riferibili in primis rispetto al fatturato prodotto. Il cui limite, per l’attuale sistema, è fissato a 85 mila euro annui (sensibilmente aumentato rispetto ai 35 mila preisti dal regime dei minimi). Una sorta di potenziamento ha riguardato anche la possibilità di esportazione dei prodotti a Paesi esteri (qualora si fosse titolari di un’attività di vendita). Oltre che la possibilità di beneficiare di un’agevolazione (pari al 35%) sul piano contributivo non prevista dal regime precedente. Anche se con riferimento ai soli commercianti e artigiani.
Riassumendo…
- il regime dei minimi è stato abolito nel 2016. Ma resta valido per chi l’ha attivato tra il 2008 e il 2015, almeno fino al compimento dei 35 anni;
- il regime forfettario, introdotto in sostituzione nello stesso anno, garantisce un’elasticità maggiore sulle attività di compravendita e benefici fiscali a commercianti e artigiani;
- con l’avvicendamento tra i due regimi, è stato esteso il tetto massimo al fatturato, portato da 35 mila a 85 mila euro annui.