Ha fatto saltare tutti gli italiani dalla sedia la proposta della Bundesbank nelle settimane scorse di imporre una patrimoniale del 20% sulla ricchezza privata delle famiglie, così da abbattere la montagna del debito pubblico. Abbiamo chiarito come una simile iniziativa non sarebbe né di aiuto reale per le finanze dello stato, né politicamente sostenibile. Inoltre, così com’è stata lanciata, non risulterebbe nemmeno praticabile. Noi italiani vantiamo una ricchezza privata di quasi 9.000 miliardi di euro, di cui quasi 4.300 miliardi di natura finanziaria (azioni, obbligazioni, depositi bancari, etc.).
Una patrimoniale, se verrà mai, dovrà avere natura essenzialmente volontaria. Vi chiederete chi mai preleverà parte della propria ricchezza per consegnarla allo stato. Bisogna escogitare un meccanismo incentivante. Uno di questi sarebbe di tipo fiscale. Lo stato rivolgerebbe a tutti noi cittadini un’offerta: “datemi il tot% del vostro patrimonio e in cambio risparmierete l’intera cifra, maggiorata degli interessi, dalle tasse ed entro un certo numero di anni”. Poniamo, ad esempio, che l’offerta minima che un italiano possa fare sia di 10.000 euro. E supponiamo che lo stato gli garantisca l’esenzione dal pagamento di una specifica imposta o di tutte le imposte fino a 10 anni, assegnandogli un credito d’imposta massimo annuo di 1.200 euro. In pratica, il contribuente nell’arco di un decennio avrà risparmiato 12.000 euro in tutto di tasse, a fronte dei 10.000 euro versati allo stato come patrimoniale. Dunque, avrà percepito di fatto un tasso d’interesse del 2% all’anno.
E cosa accadrebbe se il contribuente in uno o più anni futuri non fosse in grado di sfruttare per intero il credito d’imposta? Lo stato potrebbe impegnarsi o ad allungare il periodo utile a raggiungere il totale massimo consentito (nell’esempio, i 12.000 euro) o a restituirgli la differenza non usufruita al termine del periodo. Cosa ci guadagnerebbero lo stato e i contribuenti? Il primo incasserebbe in un’unica soluzione un gettito fiscale anticipato, impiegandolo per abbattere il debito pubblico. I secondi metterebbero a frutto i propri risparmi, percependo un interesse minimo garantito e correndo un rischio sostanzialmente nullo. Certo, ogni anno lo stato si ritroverebbe a incassare dai contribuenti meno di prima, a parità di condizioni economiche, per cui dovrebbe coprire l’ammanco con l’emissione di nuovi titoli del debito pubblico. Tuttavia, avrà abbattuto il debito pagando un costo inferiore a quello che avrebbe dovuto mediamente sostenere rifinanziandolo di anno in anno sul mercato.
Come funzionerebbe una patrimoniale volontaria
Facciamo un esempio: 5 milioni di contribuenti italiani versano allo stato 10.000 euro ciascuno, ossia complessivamente 50 miliardi. Lo stato li incassa e li utilizza per acquistare i suoi stessi BTp sul mercato, magari pure sotto la pari, per cui potenzialmente annullerà debiti nominali per un controvalore superiore ai 50 miliardi stessi, risparmiando circa 1,2 miliardi di euro di interessi, visto che al momento il nostro debito circolante rende la media del 2,4%. Il rapporto debito/pil si ridurrebbe di circa il 3% in un attimo. Alla prima dichiarazione dei redditi successiva al versamento della patrimoniale, ciascun contribuente avrebbe a disposizione un credito d’imposta di 1.200 euro. Supponiamo che tutti risultino capienti, ipotesi plausibile, perché verosimilmente si terrebbero alla larga dal compiere il gesto “generoso” quei contribuenti a rischio di incapienza, cioè con redditi non sufficientemente alti per usufruire del credito d’imposta.
Nell’arco del decennio, immaginando per semplicità di ragionamento interessi costanti, lo stato avrà incassato 60 miliardi in meno ed emesso titoli per un controvalore uguale al costo totale cumulato di 1,44 miliardi. Tuttavia, nel frattempo avrà risparmiato il 2,4% di interesse su 50 miliardi per 10 anni, qualcosa come 12 miliardi in tutto, spendendone 10 per ricompensare i contribuenti e 1,44 per coprire gli ammanchi fiscali. In tutto, avrà risparmiato circa mezzo miliardo (12 – 10 – 1,44), ovvero l’1% della cifra incassata con la patrimoniale volontaria. Chiaramente, se questi fossero i numeri, verrebbe da pensare che il gioco non valga la candela. Tuttavia, le cose cambierebbero se ipotizzassimo una patrimoniale di ampio respiro, nell’ordine di centinaia di miliardi di euro. Questo, perché non solo i risparmi ottenuti a regime sarebbero maggiori, ma anche perché sul piano della percezione sui mercati, il debito pubblico italiano diverrebbe più sostenibile e meno oneroso. Infatti, gli interessi risparmiati inciderebbero positivamente subito sui conti pubblici, mentre gli oneri maturerebbero con gli anni, ma soprattutto vi sarebbe un abbattimento immediato del rapporto debito/pil, tale da indurre gli investitori a ridurre le pretese verso il Tesoro di Roma, chiedendo rendimenti extra inferiori rispetto a quelli “core” tedeschi e delle altre economie. Se la patrimoniale volontaria ammontasse, ad esempio, a un decimo della ricchezza finanziaria privata delle famiglie, il debito pubblico crollerebbe all’istante di oltre 400 miliardi, qualcosa come il 20-25% del pil.
Affinché una siffatta patrimoniale volontaria funzioni, sarebbe necessario instaurare un rapporto di fiducia tra stato e contribuenti e che i secondi abbiano la ragionevole rassicurazione di tornare in possesso di tutto il valore del gettito anticipato al primo, maggiorato degli interessi garantiti. Per contro, quanti si libererebbero di liquidità per un lungo periodo, rischiando di rimanere a corto di denaro all’occorrenza? Probabile, quindi, che la patrimoniale volontaria riscuota successo perlopiù tra le fasce più abbienti della popolazione, anche se proprio questa risulterebbe già attiva sui mercati finanziari con portafogli di investimento.
Per abbattere il debito pubblico serve allungarlo