Lo definiscono “Trimestre anti-inflazione” ed è stato pensato dal governo sul modello francese. Ma il patto tra il mondo del commercio e produttori non decolla. Il problema è fin troppo noto. I prezzi salgono e i consumi stanno scendendo. A giugno, segnano -0,7%. Persino i prodotti alimentari si sono contratti su base annua dello 0,2%. Del resto, sappiamo che le retribuzioni dei lavoratori stanno mantenendosi sostanzialmente invariate. Nei primi mesi dell’anno risultano avere perso in media il 7,5% di potere di acquisto. Per arrestare la corsa dell’inflazione e cercare di risollevare i consumi, il governo italiano ha riunito le parti con l’obiettivo di trovare un accordo.
L’idea non dispiace a Federdistribuzione, ma vede la contrarietà dell’industria. I produttori riuniti in Centromarca, Federalimentare e Unifood si tirano indietro. Sostengono di non poter imporre listini invariati ai loro membri per ragioni di antitrust e al contempo di avere registrato già un crollo dei margini (-41,6% per gli alimentari), a conferma che avrebbero trasferito solo in parte gli aumenti dei costi sui prezzi all’ingrosso. Insomma, avrebbero fatto la loro parte contro l’inflazione.
Più concorrenza per fermare corsa dei prezzi
Evidentemente, qualcuno sta mentendo. O sono i produttori o sono i distributori. Il carrello della spesa diventa di mese in mese più costoso, per cui o sono i primi a continuare ad aumentare i prezzi in barba ai fondamentali o sono i secondi ad approfittarne. C’è puzza di bruciato. La colpa è di chi si tira indietro o chi non acconsente al “congelamento” dei prezzi ritiene di dover pagare per responsabilità del resto della filiera?
L’unica certezza è che questi patti anti-inflazione non funzionano, se non temporaneamente e per un numero di prodotti assai limitato. Troppe le variabili in gioco nella fissazione dei prezzi e troppi i possibili imprevisti anche nel giro di pochi mesi.
Rispetto a non molti anni fa, la situazione sembra notevolmente migliorata. Il commercio elettronico rappresenta una minaccia per chiunque, produttori e distributori. Con un clic del mouse è possibile per un consumatore ordinare un prodotto e vederselo arrivare ormai nel giro di un paio di giorni. Ma gli acquisti online non riguardano tutte le categorie di beni in egual misura. I prodotti alimentari, specie freschi, sono poco lambiti dal fenomeno. Anche l’abbigliamento nei negozi fisici non ne subisce ad oggi una concorrenza così forte, data la necessità di provare un capo per verificare come calzi.
Inflazione non più legata a caro energia
Non è facile risalire alle cause dei recenti aumenti. L’inflazione inizialmente esplose in tutto l’Occidente per effetto del caro petrolio e, soprattutto, dei rincari del gas. Adesso, però, il secondo segna -85% su base annua, tornato sotto 30 euro per Mega-wattora. I costi dell’energia non si sono normalizzati del tutto, ma l’emergenza è rientrata. Ciononostante, i prezzi di quasi tutti i prodotti restano alti e in molti casi continuano a salire. Evidentemente, qualcuno nella filiera sta barando. Il fatto è anche che, come rivelano i dati sull’inflazione “core”, gli aumenti dei prezzi stanno estendendosi all’infuori del paniere inizialmente coinvolto dal caro energia.
Uno dei meccanismi di trasmissione dei rincari riguarda il costo del lavoro. I dipendenti delle imprese rivendicano stipendi più alti in fase di rinnovo contrattuale. Ciò rende definitivi gli aumenti dei prezzi passati. Come detto, però, le retribuzioni stanno crescendo molto lentamente.
Le aspettative giocano un ruolo essenziale nell’inflazione, ma resta la sensazione che qualcuno in Italia stia approfittandosene. In un mercato molto concorrenziale, non ci sarebbe futuro per simili soggetti. Ma l’Italia ha una filiera lunga e in alcuni punti controllata da pochi operatori. E questo è un male storico a cui non siamo riusciti a porre rimedio. Spiccioli a chi lavora nei campi e tasche piene per chi fa da intermediario. A pagare il conto è il consumatore finale.