Anche l’anno prossimo le regole fiscali del Patto di stabilità saranno sospese per il terzo anno consecutivo, ma a partire dal 2023 dovrebbero tornare in vigore. Lo annuncia la Commissione europea, aprendo un dibattito latente da mesi e che sta coinvolgendo alcuni dei principali rappresentanti dell’Italia. Il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, sostiene che quelle regole siano inadeguate, tant’è che sono state sospese in quanto non avrebbero funzionato durante l’emergenza. Gli fa eco il commissario agli Affari monetari ed ex premier, Paolo Gentiloni.
A tale proposito, ricorda come il mondo sia cambiato rispetto a quando tali regoli fiscali furono concepite. Allora, spiega, il tasso medio d’interesse era del 4% e il rapporto debito/PIL al 60%. In un certo senso, il Patto di stabilità fotografava la realtà dei tempi. Ma oggi, continua, i tassi sono a zero e il debito pubblico nell’Eurozona è salito mediamente al 102%. E aggiunge: dopo il 2008, gli investimenti pubblici netti si sono gradualmente azzerati. Se crediamo a quello che diciamo, è necessario che gli stati accompagnino la svolta “green” con investimenti.
Ma dalla Germania arriva una doccia fredda per mezzo del candidato alla cancelleria, Armin Lachet. Il braccio destro di Angela Merkel corre per il centro-destra e, stando ai sondaggi, lotta contro i Verdi per il primato alle prossime elezioni federali. L’attuale governatore del NordReno-Vestfalia ritiene che dopo la pandemia serva “stabilità” e avverte che una politica “del debito incontrollabile” sarebbe insostenibile e una minaccia per la Germania e l’euro.
Germania a difesa del Patto di stabilità
Laschet ha posizioni moderate e molto simili a quelle di Frau Merkel, ma su temi come il debito sente il fiato sul collo dell’ala destra del suo partito e, soprattutto, deve evitare ad ogni modo di regalare consensi alla destra euro-scettica dell’AfD.
Il Patto di stabilità contiene le regole fiscali essenziali per l’Area Euro. Esse puntano a un rapporto debito/PIL negli stati del 60% e a un deficit massimo del 3%. L’Italia quest’anno chiuderà con un indebitamento al 160% e un deficit al 12%. Per quanto dalla stessa Commissione abbiano rassicurato che persino nel 2023 si terrebbe conto delle situazioni specifiche, il rischio di tornare alle note diatribe tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici è altissimo, così come anche di ricreare tensioni finanziarie sui mercati. Peraltro, nel 2023 l’Italia avrà un nuovo governo, con ogni probabilità di natura politica e con un vincitore chiaro. Insomma, la luna di miele garantita al momento dalla presenza di Draghi a Palazzo Chigi svanirebbe.
E il ripristino del Patto di stabilità non sarà l’unico serio problema che l’Italia si troverà affrontare nei prossimi anni. La BCE dovrà necessariamente ritirare gli stimoli monetari, tagliando prima e azzerando dopo gli acquisti di bond e successivamente ancora alzando i tassi d’interesse. Rifinanziarsi sui mercati diverrà più costoso e se per allora l’Italia non sarà tornata a crescere robustamente, i mercati la penalizzeranno, chiedendo uno spread più alto per acquistare i suoi titoli del debito. E la lievitazione della spesa per interessi sul PIL sarebbe l’ultima cosa di cui avremmo bisogno per ricostruire l’economia italiana dopo la pandemia.