Diciamoci la verità, sul piano strettamente emozionale l’addio annunciato di Jean-Pierre Mustier a Unicredit non ha creato alcuno sgomento. Il manager francese alla guida della banca dal 2016 non ha fatto altro che rimarcare il suo spirito anti-italiano da amministratore delegato. Ha venduto la controllata Pioneer ai suoi connazionali di Crédit Agricole, successivamente si è sbarazzato di Fineco, la prima banca online d’Italia e considerata un modello di successo. Lo scorso anno, ha annunciato l’azzeramento della partecipazione in Mediobanca, contestualmente all’intenzione di ridurre considerevolmente i titoli di stato italiani a bilancio.
Comunque sia, Unicredit ha avuto tutto il diritto di fare quel che ha fatto, essendo una banca privata e non dovendo rispondere se non ai suoi azionisti. Certo, non che il mercato abbia dato ragione a Mustier. Malgrado la maxi-ricapitalizzazione da 13 miliardi del 2017, il titolo azionario a Piazza Affari risultava sotto del 35% a meno di 20 miliardi di euro di capitalizzazione. La strategia di lento abbandono del mercato italiano, insomma, non ha pagato. Ma il PD è riuscito nell’operazione straordinaria di rendercelo simpatico. Mustier, con tutti i suoi difetti e una linea pur non condivisibile, ha gestito l’unica banca sistemica italiana come andava gestita, cioè da asset privato. L’ha tenuta lontana dalle famose operazioni di sistema a cui si appellò Pier Carlo Padoan negli anni in cui si trovò a gestire la crisi delle banche italiane da ministro dell’Economia.
Mustier lascerà Unicredit, nozze in vista con MPS e nuove perdite a carico dello stato
La politica entra in casa Unicredit
Fino a ottobre, le pressioni del governo “giallo-rosso” per accollare Monte Paschi di Siena a Piazza Gae Aulenti erano state respinte in maniera inusualmente decisa.
Padoan sarebbe riuscito da dentro a sobillare il management contro Mustier, anzi la sua stessa nomina sarebbe la prova del successo che il governo ha avuto nel fare pressione sulla banca. Adesso, la fusione tra i due istituti lascia intravedere persino un possibile ingresso del Tesoro nel capitale di Unicredit, attraverso la quota del 68,2% (64,2% post-esercizio dell’opzione simmetrica concessa agli azionisti) detenuta a Siena. Una delle pochissime public company italiane rischia di ritrovarsi esposta alla politicizzazione, peraltro dopo che la politica a vari livelli ha combinato disastri immensi alle banche. Diverse popolari, banche di credito cooperativo e fino ad arrivare alla ormai ex terza banca italiana (MPS) sono saltate proprio per la cattiva governance legata alla commistione tra affari e politica. A Siena, fino a pochi anni fa si ironizzava sul fatto che il consiglio comunale fosse nei fatti il consiglio di amministrazione di Rocca Salimbeni. In effetti, il PD controllava la banca attraverso la Fondazione, azionista al 54%. Il board di quest’ultima era designato da Regione Toscana, Provincia e Comune di Siena (tutte istituzioni guidate dai democratici) e la Curia.
Perché le azioni Unicredit perdono così tanto dopo l’addio di Mustier