C’è grande paura nel mondo per i possibili dazi che il presidente Donald Trump annuncerebbe ai danni di questo o quel Paese. Il suo programma, riassunto nel motto “Make America Great Again”, consiste essenzialmente nel rilanciare la manifattura americana. E per questo ha in mente di fare due cose: indebolire il dollaro e imporre dazi. Entrambi puntano a rilanciare la competitività delle imprese domestiche. Nel primo caso avrà bisogno della Federal Reserve di Jerome Powell.
Powell nominato da Trump nel 2018
Il governatore venne nominato proprio da Trump nel 2018 e sostituì dopo un solo mandato Janet Yellen, che è stata segretaria al Tesoro nell’amministrazione Biden.
Taglio dei tassi a settembre avventato?
Joe Biden gli concesse il secondo mandato nel 2022, anche perché da quando si era insediato alla Casa Bianca fino a quel momento i tassi erano rimasti molto bassi. E ciò piacque, naturalmente, al precedente governo americano. A settembre Powell ha avviato il taglio dei tassi e si direbbe che per Trump la questione neanche si porrebbe. Invece, tra i due saranno scintille molto presto, se non a giorni. La mossa del governatore di quattro mesi fa era stata considerata già allora avventata. Non solo iniziava a ridurre il costo del denaro con un’economia americana in piena crescita, un mercato del lavoro in piena occupazione e un’inflazione sopra il target del 2%. Ma, addirittura, lo faceva per ben mezzo punto percentuale in un colpo solo.
I maligni dissero allora che ciò fosse dovuto al fatto che Powell dovesse mostrare gratitudine al governo uscente in piena campagna elettorale. Dopo settembre la Fed ha tagliato i tassi per altre due volte, complessivamente dell’1%. In questo periodo, l’inflazione è ripresa a salire e l’occupazione non ha smesso di crescere. Le aspettative d’inflazione a 5 anni si sono surriscaldate. Erano un po’ sotto il 2% poco prima che la Fed tagliasse i tassi, mentre adesso viaggiano intorno al 2,50%, cioè ben sopra il target. Questo significa una sola cosa: Powell ha sbagliato i calcoli.
Rendimenti su con tassi Fed giù
A riprova di tutto ciò, il boom dei rendimenti americani. Vero è che questi risentono anche delle politiche trumpiane, ma ciò si potrebbe affermare più convintamente per il tratto medio-lungo della curva. Invece, il tratto a breve termine è sotto il diretto controllo della Fed. E prima che Powell svoltasse a settembre, il rendimento a 2 anni era al 3,55%. Oggi, sta a poco meno del 4,30%. Gli obbligazionisti segnalano di non credere che l’istituto avrà margini per continuare a tagliare i tassi nel medio termine. Tutt’al più un altro taglio dello 0,25% entro l’anno.
Ed è proprio qui che con Trump si arriverà allo scontro. Senza che Powell tagli i tassi, il dollaro resterà forte. L’opposto di quanto desideri il presidente. Il governatore probabilmente gli ribatterà che la stessa minaccia dei dazi stia rafforzando il cambio, ma si sentirà forse rispondere che o si adegua o sarà licenziato. Anche se l’opzione nucleare non sarà messa in pratica, la tensione sarà forte. A domanda diretta se si dimetterebbe su richiesta del presidente, il banchiere centrale ha risposto con un laconico “no”. Il minimo sindacale per difendere l’idea di indipendenza della Fed.
Powell a giorni deluderà Trump
Il prossimo board della Fed sarà tra una settimana.