Chi prende meno di 500 euro al mese di pensione? In Italia, secondo i dati Istat riferiti al 2020, sono circa cinque milioni i trattamenti erogati fino a tale importo. Un terzo dei quali è di natura assistenziale.
Quindi, quasi una rendita su tre è inferiore a 500 euro al mese. Ma si tratta di singole prestazioni e non di pensionati che spesso percepiscono più di un trattamento dall’Inps. La media è di 1,42 pensioni a persona.
Il trattamento minimo di pensione
Ci si chiede allora come fanno a vivere certe persone se percepiscono importi così bassi.
Questo bonus si chiama integrazione al trattamento minimo e non spetta a tutti, ma solo a coloro che possono far valere determinati requisiti. Primo fra tutti quello reddituale come singolo o persona coniugata. Ecco perché capita che chi percepisce due o più pensioni non ha diritto all’integrazione al trattamento minimo.
Altro requisito da rispettare è quello di avere almeno un contributo settimanale versato prima del 31 dicembre 1995. Solo coloro che rientrano in questa tipologia di liquidazione mista della pensione possono chiedere l’integrazione al trattamento minimo.
Importo mensile e incrementi
Questa soglia è pari ad 524,35 euro al mese, oltre a tredicesima per il 2022. Cifra che salirà nel 2023 per effetto della perequazione automatica delle pensioni. Come ogni anno, tutte le rendite, sono rivalutate in base al costo della vita calcolato dall’Istat. Negli ultimi anni, causa la bassa e negativa variazione dei prezzi al consumo, gli assegni hanno subito variazioni minime, quasi impercettibili.
Per il 2023, però, ci si attende una rivalutazione significativa delle pensioni, per effetto dell’impennata dell’inflazione in Italia. Si stima che il trattamento minimo possa arrivare a circa 51465 euro al mese.
Domanda di pensione e limiti di reddito
La pensione minima o integrata al minimo si ottiene a domanda dell’interessato. Quando un lavoratore va in pensione e gli viene liquidato l’assegno e se questo risulta inferiore a 524,35 euro al mese, può chiedere che l’ente pensionistico gli corrisponda la differenza.
Il diritto sorge solo se sono rispettati determinati limiti di reddito. Per il pensionato non coniugato tale limite è pari a 2 volte il trattamento minimo pensionistico. Mentre per il pensionato coniugato, è necessario che il reddito complessivo non superi di 4 volte il trattamento minimo, fermo restando il limite di cui sopra per il beneficiario. Per il 2022 tali limiti sono nel dettaglio:
- 816,55 euro per pensionati non coniugati
- 633,10 euro per pensionati coniugati
E’ prevista una riduzione dell’integrazione qualora si superano i predetti limiti ma non si oltrepassano i:
- 633,10 euro per pensionati non coniugati
- 266,20 euro per pensionati coniugati
Chi percepisce un assegno inferiore a 6.815,10 euro all’anno ha diritto anche all’importo aggiuntivo di 154,94 euro al mese.
Casi di esclusione di diritto
A parte i requisiti reddituali, come detto, ci sono anche requisiti di diritto da tenere in considerazione. I lavoratori, ad esempio, che non hanno versato contributi prima del 1996 sono esclusi dalla integrazione al trattamento minimo.
Sono altresì esclusi gli iscritti alla gestione separata che prima del 1996 non esisteva. Per i lavoratori autonomi, invece, il diritto sorge al pari della generalità dei dipendenti pubblici e privati ma l’assegno è liquidato solo con il metodo di calcolo contributivo.
Pertanto, l’aumento della pensione fino a 524,35 euro al mese è concessa sulla base fondamentale del sistema di liquidazione dell’asegno che deve essere per forza di tip13o misto. Per i contributivi puri il diritto non sorge.
Perdita del diritto all’integrazione al minimo
Come detto all’inizio, uno dei requisiti fondamentali per avere diritto alla integrazione al trattamento minimo è quello reddituale.
Uno dei casi più frequenti riguarda i pensionati che, dopo la morte del coniuge, iniziano a percepire anche la pensione ai superstiti. Così come anche il caso del pensionato che intraprende una attività lavorativa .
Superando i limiti di reddito di cui sopra, l’Inps sospende d’ufficio l’integrazione e recupera eventualmente gli indebiti corrisposti. Qualora i requisiti reddituali tornassero nella norma, il pensionato tornerebbe a ricevere gli aumenti.