Andare in pensione a 64 anni? Difficile, quasi impossibile per chi si accinge a lavorare oggi. Una vera e propria illusione che la ministra Elsa Fornero nel 2012 ha fatto passare come soluzione alternativa alla pensione di vecchiaia. Cioè a 67 anni di età.
La pensione anticipata prima dei 67 anni esiste, quindi, ma è riservata ai contributivi puri, cioè a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. Ma, in concreto, chi veramente potrà andare in pensione con tali requisiti anagrafici? A conti fatti è quasi impossibile, vediamo perché.
Uscita dal lavoro tre anni prima: specchietto per le allodole?
Come noto, la legge consente l’uscita dal lavoro anticipata al raggiungimento dell’età di 64 anni con almeno 20 anni di contributi. Ma l’assegno a calcolo previsto non deve essere inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.
Non è cosa da poco, poiché tale soglia corrisponde a 1.410 euro al mese (attualizzato al 2023). E cioè una cifra che ben superiore alla media dei trattamenti pensionistici in Italia che supera di poco i 1.153 euro al mese. Allora la domanda che ci si pone è questa: chi può realmente permettersi una simile pensione? E quanto bisogna aver versato per rientrare in questi parametri?
Per saperlo bisogna fare un calcolo partendo dal monte contributivo accumulato dal lavoratore durante la carriera lavorativa e applicare il coefficiente di trasformazione. Valore che, per l’anno in corso e l’età anagrafica di 64 anni, corrisponde al 5,184%. Ovviamente più si sale con l’età, maggiore sarà il valore di tale coefficiente e l’importo della pensione.
Nel caso in specie, per ottenere il diritto alla pensione a 64 anni bisogna avere alle spalle un montante contributivo di almeno 353.000 euro. Una cifra molto alta che si può ottenere solo con una retribuzione media molto alta.
L’importo dell’assegno sociale
Ma non solo. Da quest’anno, causa l’inflazione galoppante, l’importo dell’assegno sociale è salito del 8,1% con tenenza ad aumentare ancora nei prossimi anni.
Questo perché la rivalutazione del montante contributivo di ciascun lavoratore avviene in base all’andamento del Pil e non dell’inflazione. Quindi succede che la soglia limite si allontana più velocemente di quanto i contributi si rivalutano nel tempo con l’effetto di ridurre sempre più la platea, già ristretta, dei beneficiari della pensione a 64 anni.
Anche i coefficienti di trasformazione non sono statici. Sono periodicamente aggiornati dal Mef (ogni due anni) in base alle aspettative di vita e quindi tendono ad abbassarsi con l’allungamento della speranza di vita media degli italiani. Un meccanismo, quindi, che nel complesso tende a sfavorire l’uscita anticipata dal lavoro a 64 anni e quindi a ridurre drasticamente questa possibilità anche per chi può vantare un buon monte contributivo.
La pensione a 64 anni per i contribuitivi puri
Altro fattore di non poco conto che rende la pensione a 64 anni dei giovani lavoratori una meta irraggiungibile è il precariato e i bassi stipendi. Lavori discontinui, part time, precari e disoccupazione non aiutano di certo a costruirsi una buona base su cui può poggiare il futuro pensionistico dei giovani.
I così detti buchi contributivi costituiscono quindi una seria minaccia per le pensioni future che sono calcolate solo col metodo contributivo. A ciò bisogna sommare anche i bassi salari sui quali sono calcolati i contributi destinati alla previdenza. Bassi salari comportano un basso montante contributivo e quindi una pensione non commisurata alle aspettative minime dei lavoratori.
E’ quindi difficile raggiungere il traguardo pensionistico al compimento dei 64 anni nel sistema contributivo.