L’ipotesi di pensione anticipata a 62 anni è sul tavolo dei sindacati, ma non su quello del governo. Del resto, l’idea di anticipare l’uscita dal lavoro 5 anni prima rispetto ai 67 della vecchiaia non trova alcuna rispondenza fattibile dopo l’introduzione di quota 102.
Inoltre Bruxelles ha messo nuovamente nel mirino i conti pubblici italiani raccomandando di rientrare dai debiti, nonostante lo stop al patto di stabilità. La riforma con pensione a 62 anni per tutti diventa quindi difficile da attuare.
La questione elettorale
Sul tavolo di Palazzo Chigi ci sono le riforma, non solo quella sulle pensioni, che appaiono impantanate e frenate dalla varie forze politiche.
Un punto che rischia di far saltare il governo Draghi prima ancora che finisca la legislatura nel 2023, col rischio di elezioni anticipate in autunno. E così addio alla riforma pensioni. Tutto sarebbe rinviato a tempi migliori.
Ed è sostanzialmente quello che vogliono i partiti, pronti a fare campagna elettorale con la riforma pensioni promettendo mari e monti all’elettorato pur di accaparrarsi un seggio in più in Parlamento. Dal prossimo anno, lo ricordiamo, i posti saranno un terzo in meno rispetto al passato e la lotta sarà più serrata.
Il ruolo dei sindacati
Anche i sindacati giocheranno la loro partita basata su promesse in cambio di adesioni e tessere. Nonostante la pensione a 62 anni – lo sanno bene anche loro – sia una chimera. Il progetto è irrealizzabile perché costerebbe troppo allo Stato.
Tuttavia l’obiettivo dei sindacati resta quello di riportare le pensioni anticipate a 62 anni. Come avveniva con quota 100. Una soglia che non può essere garantita se non con qualche forma di penalizzazione col ricalcolo contributivo magari. In tutto o in parte, come propone l’economista Raitano.
Ma anche, in alternativa, con 41 anni di contributi (quota 41) a prescindere dall’età anagrafica.