La riforma pensioni si avvicina, ma il percorso per attuarla appare tutt’altro che chiaro. Da una parte sindacati e parti sociali premono per conservare le basi tracciate da quota 100. Dall’altra il governo deve fare i conti con il debito pubblico.
I margini di manovra sembrano molto stretti per il dopo quota 100 che scadrà a fine anno. In assenza di un intervento legislativo, il rischio è che si torni per tutti alle regole della Fornero. Cioè, in pensione di vecchiaia a 67 anni o con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne un anno in meno) a prescindere dall’età.
Pensione anticipata a 64 anni
Scartata la strada di quota 41, una delle ipotesi concrete a cui si sta lavorando per consentire una uscita anticipata poco onerosa sarebbe il pensionamento a 64 anni. Due anni in più rispetto ai requisiti anagrafici previsti da quota 100, ma con due anni in meno di contributi versati (36).
A dire il vero, la pensione anticipata a 64 anni oggi già esiste. Non è nemmeno richiesto il requisito dei 36 anni di contributi versati, bastandone appena 20. Ma l’opzione è riservata ai lavoratori il cui accredito contributivo sia interamente successivo al 31 dicembre 1995.
Bisogna, poi, aver maturato un assegno di pensione pari almeno a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale. Cifra che per il 2021 ammonta ad almeno 1.288 euro mensili essendo il valore dell’assegno sociale pari a 460 euro.
Le altre riforme in vista
Sul tavolo del ministero del Lavoro ci sono però altre priorità. In primo luogo, maggiori tutele per i giovani che versano nel sistema contributivo e hanno carriere discontinue e redditi bassi.
Non avendo diritto alla integrazione al trattamento minimo, è necessario introdurre un cuscinetto che eviti lo sprofondamento sotto la soglia di povertà una volta in pensione. Allo scopo si pensa di rendere strutturale la pensione di cittadinanza.
Ape Sociale e opzione donna dovrebbero essere prorogate, se non addirittura rese strutturali visti i bassi costi per lo Stato.