Pensioni distanti per gli italiani, con misure che con la riforma Fornero si sono inasprite. Un sistema particolare il nostro. Senza dubbio particolare rispetto ai sistemi pensionistici dei Paesi simili al nostro. E ci sono misure più particolari di altre. Soprattutto ci sono lavoratori più particolari di altri quando si tratta di poter andare in pensione. Per esempio, i lavoratori privi della carriera contributiva antecedente il 1° gennaio del 1996, considerati contributivi al 100%, hanno vantaggi e svantaggi dal punto di vista pensionistico.
Pro e contro di uno status che però li porta in una specie di limbo, con la possibilità di poter andare in pensione tra i 64 e i 71 anni. Una forbice notevole che mina la tranquillità di molti e che non permette di quantificare bene i termini di uscita dal mondo del lavoro. Perché se consideriamo che l’uscita canonica è fissata a 67 anni di età, è evidente che parliamo di possibili uscite fino a 3 anni prima o fino a 4 anni dopo.
“Buonasera, volevo capire quando potrà andare in pensione io che ho 63 anni di età compiuti lo scorso mese di dicembre. Nel 2023 compio 64 anni di età. Ho circa 22 anni di contributi versati, ma il primo nel 2000. Mi dicono al Patronato che è impossibile capire oggi quando potrò andare in pensione. Perché molto dipende dall’importo della pensione che riuscirò a percepire. Perché potrei andare in pensione già quest’anno a dicembre, oppure tra 3 anni quando compio 67 anni. Ma c’è pure il rischio che esca a 71 anni. Come mai tutte queste variabili per me mentre per mia sorella che da 10 anni è in pensione, nulla di tutto questo?”
Cosa significa essere un contributivo puro nel sistema previdenziale italiano
Non fu la riforma Fornero bensì la riforma Dini a fare entrare nel sistema pensionistico italiano il termine di contributivo. Infatti con la riforma Dini il sistema previdenziale è passato dal retributivo al contributivo.
Un contenitore dove un lavoratore mette da parte dei soldi per la pensione. Hanno diritto al calcolo interamente retributivo quanti non hanno contributi versati successivi al 31 dicembre 1995. Per contro hanno diritto al calcolo interamente contributivo quanti hanno iniziato a versare dopo il 31 dicembre 1995. Invece per gli altri vige il sistema misto. Per i versamenti successivi al 31 dicembre 1995 si usa il contributivo, mentre per i precedenti il retributivo. Ma chi ha almeno 18 anni di contributi già al 31 dicembre 1995, il calcolo retributivo arriva fino al 31 dicembre 2011.
Il problema di chi non ha versamenti retributivi e la pensione che diventa variabile
Per chi rientra nel sistema retributivo o anche nel misto perché ha iniziato a lavorare prima del 1996, problematiche inferiori rispetto a quelle che incontrano i cosiddetti contributivi puri. Infatti ciò che va sottolineato è che le misure ordinarie come lo sono le pensioni di vecchiaia, riguardano nella formula classica, soltanto coloro i quali rientrano nel retributivo o nel misto. Per i contributivi puri non basta aver raggiunto i 67 anni di età ed aver completato i vent’anni di contributi previdenziali necessari come per gli altri lavoratori. Occorre che la pensione che viene liquidata dall’INPS alla data di decorrenza con questa misura, sia anche pari ad almeno 5 volte l’assegno sociale. Significa che un contributivo puro per poter andare in pensione con la quiescenza di vecchiaia deve raggiungere un assegno pensionistico pari ad almeno 750 euro circa al mese, euro più euro meno.
La pensione anticipata è solo per i contributivi puri con la combinazione 64+20, ma a volte non basta
Prima parlavamo di pro e contro di essere considerati contributivi puri. E tra i pro, una misura assai particolare che si chiama pensione anticipata contributiva. Misura unica nel suo genere che si applica esclusivamente ai lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. Con questa misura, sempre con vent’anni di contributi versati come per le pensioni di vecchiaia ordinarie si può uscire dal lavoro a 64 anni di età. In questo caso però la condizione aggiuntiva riguarda sempre l’importo della pensione che deve essere pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Parliamo quindi di pensione di importo superiore a circa 1.400 euro al mese. Senza dubbio un pesante vincolo questo che pertanto fa correre il rischio a molti lavoratori con stipendio non elevatissimo, di perdere il treno di questa misura.
La vera quiescenza di vecchiaia per i contributivi è a 71 anni
E alla fine, arriva il dato inequivocabile. Infatti la pensione di vecchiaia per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi si centra, senza vincoli, a 71 anni. In pratica ciò che accade a retributivi e misti a 67 anni, accade ai contributivi puri a 71 anni. Nessuno lo dice in questa veste, ma effettivamente è così. Per evitare questo, con solo 20 anni di contributi, servono stipendi elevati per consentire l’anticipo a 64 anni. Perché anche se si utilizzano i contributi come parametro di calcolo della pensione e non direttamente le retribuzioni, queste restano fondamentali.
Prendiamo un lavoratore dipendente. Lui destina alla pensione con trattenute in busta paga, il 33% dello stipendio. Infatti l’aliquota contributiva per il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti INPS (FPLD), è pari proprio al 33%. Più elevata la retribuzione, più alto è il 33% di quello che si lascia alla pensione futura.
La pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi
Meno alta la retribuzione per riuscire a centrare la seconda opzione, che resta quella di vecchiaia a 67 anni. Ma è pur sempre un vincolo non certo facile da superare. Per la pensione superiore a 750 euro al mese, a volte 20 anni di contributi con stipendi medi e tipici italiani, non bastano. E quindi la pensione per questi lavoratori non si prende se non a 71 anni di età. In quel caso infatti viene meno il vincolo di importo dell’assegno. Come non c’è nessun vincolo di importo per la pensione di retributivi e misti a 67 anni, non c’è nessun vincolo neanche per i contributivi puri a 71 anni. Anzi, a dire il vero a 71 anni non servono nemmeno 20 anni di contributi, perché ne bastano 5.