Le pensioni non saranno più come le abbiamo sempre conosciute, cioè uguali per tutti. Allo studio ci sarebbe una importante riforma che aggancerebbe l’importo dell’assegno alle aspettative di vita di ciascun lavoratore. Un altro escamotage per operare tagli alla spesa previdenziale che appare sempre meno sostenibile nel medio e lungo periodo.
I problemi di gestione sono noti: maggiore longevità della popolazione, diminuzione delle nascite e quindi dei lavoratori che possono contribuire a sostenere le pensioni, e inflazione che è tornata a correre.
Pensioni più basse per chi vive di più
In buona sostanza si tratterebbe di dare una pensione più bassa a chi vive più a lungo. Non sapendo, però, qual è la data di morte di ciascuno di noi, l’idea sarebbe quella di stabilire dei criteri che andrebbero a sommarsi a quello già esistenti legati alla speranza di vita (riforma Fornero).
Non si tratta di una ipotesi, ma solo di uno studio elaborato dall’Inps che però ha già suscitato molte polemiche fra i lavoratori. E la stampa ci è andata a nozze. In teoria, in base ai dati analizzati dall’Osservatorio sulle pensioni dell’Inps, si tratterebbe di calibrare l’importo della rendita con il luogo (o luoghi) di residenza del lavoratore, il lavori svolti e il costo della vita.
Per fare un esempio, una persona che svolge lavori usuranti godrebbe di una pensione più alta rispetto a una che non li fa o non li ha mai fatti. Lo stesso dicasi per un lavoratore che vive e risiede in Lombardia piuttosto che in Calabria dove il costo della vita è diverso. Insomma, differenze che andrebbero a pesare sull’importo dell’assegno mensile.
I coefficienti di trasformazione
La via maestra per intervenire in questo senso sarebbe quella di modificare i coefficianti di straformazione che determinano l’ammontare della pensione. Personalizzandoli e adattandoli a seconda dei casi. Oggi questi parametri sono uguali per tutti, uomini e donne, e agiscono sulla quota contributiva della pensione a calcolo. Giacché per quella retributiva si fa riferimento alla retribuzione media percepita.
Oggi ciò che avvantaggia il lavoratore gravoso piuttosto che le lavoratrici in generale è uno sconto sull’anzianità anagrafica e contributiva. Da qui le deroghe che conosciamo da anni, come Ape Sociale, Opzione Donna e le pensioni anticipate per i lavoratori usuranti. Mentre per tutti gli altri, sia che vivono al Nord piuttosto che al Sud, non vi è differenza.
Un domani, queste differenze, però, potrebbero sparire per lasciare il posto appunto a coefficienti di trasformazione personalizzati. Più bassi per le donne e più alti per gli uomini a parità di requisiti per andare in pensione. Ma differenze sostanziali ci potrebbero essere anche per chi fa l’autista piuttosto che l’impiegato e per chi risiede in una regione piuttosto che in un’altra.
Pensioni e speranza di vita
Nello specifico, l’aspettativa di vita media, oggi uguale per tutti ai fini pensionistici, verrebbe calibrata su più aspetti fondamentali. Il che sarebbe anche più giusto ed equo da un punto di vista sociale. Così chi campa più a lungo prende meno di pensione rispetto a chi ha un’aspettativa di vita più bassa perché si è usurato durante il lavoro versando però contributi nella stesa misura.
Lo scopo dello Stato, però, semmai si arrivasse a tanto, sarebbe principalmente quello di tagliare nuovamente la spesa generale delle pensioni. In questo senso il rischio è quello di andare incontro a un peggioramento generale delle condizioni sociali piuttosto che a un miglioramento.
Riassumendo…
- Chi campa più a lungo in futuro potrebbe avere una pensione più bassa.
- Uno studio Inps vorrebbe agganciare l’aspettativa di vita anche al tipo di lavoro svolto e al luogo di residenza.
- A tal fine basterebbe cambiare i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione.
- La riforma va nel senso di maggiori taglia agli importi per contenere la spesa previdenziale.