Una delle misure senza dubbio più utilizzate ormai da anni è l’Ape sociale. La misura, anche nel 2025, consente di andare in pensione al compimento dei 63 anni e 5 mesi di età. Le platee dei beneficiari rimangono sempre circoscritte, così come le limitazioni a cui vanno incontro i beneficiari dell’Ape sociale, per via del suo spiccato carattere assistenziale.
Oggi, però, analizziamo un caso assai spinoso, spesso sottovalutato, che ha portato alla reiezione di numerose domande di Ape sociale negli ultimi anni. Molti contribuenti, convinti di avere diritto alla prestazione, sono rimasti sorpresi nello scoprire che, anche da disoccupati involontari, spesso la misura non può essere sfruttata.
“Salve, sono un vostro affezionato lettore e volevo capire che cosa succede con l’Ape sociale dopo la scadenza del contratto a termine. Io ho preso la Naspi interamente fino a dicembre 2022. Poi non ho più lavorato fino al 2024, quando ho trovato un lavoro a termine da dicembre a maggio. Dal momento che compio a novembre 63 anni e 5 mesi, credevo di poter andare in pensione dopo aver preso di nuovo la Naspi per i tre mesi che mi spettano alla scadenza del contratto. Alcuni però mi dicono che, per il lavoro a tempo determinato, l’Ape sociale non spetta: sostengono che chi perde il lavoro per scadenza contratto non può prendere l’Ape sociale dopo la Naspi. Io dico che è impossibile, ma volevo esserne sicuro.”
Pensione con l’Ape sociale, la regola dei 18 mesi di assunzione precedenti è importante
L’Ape sociale può essere percepita da invalidi con almeno il 74% di invalidità certificata, oppure da caregiver che da almeno 6 mesi convivono con un parente disabile grave (riconosciuto ai sensi della legge 104) al quale prestano assistenza.
Inoltre, spetta agli addetti ai lavori gravosi per 7 degli ultimi 10 anni o 6 degli ultimi 7 anni. Infine, è destinata ai disoccupati che hanno già fruito per intero della Naspi spettante. Proprio sui disoccupati ci sono diversi aspetti da chiarire, perché talvolta il diritto alla Naspi viene meno.
In linea di massima, per accedere all’Ape sociale bisogna aver perso il lavoro involontariamente, ma solo a seguito di licenziamento (individuale o collettivo), dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Nei meandri delle regole che disciplinano l’Ape sociale, questo vincolo per i disoccupati è fisso.
Cosa è cambiato dal 2018 sulla pensione dell’Ape sociale per disoccupati
Lo confermano anche le FAQ dell’INPS nelle risposte ai quesiti dei contribuenti. Infatti, inizialmente la regola era molto rigida. Un lavoratore che cessa l’attività lavorativa in seguito a scadenza di un contratto a termine non rientra tra i potenziali beneficiari dell’Ape sociale. Dal 2018, però, è stata introdotta una sostanziale variazione.
Per i lavoratori che provengono dalla Naspi dopo aver perso il lavoro per scadenza del contratto a termine, è necessario un requisito aggiuntivo che supera il divieto di Ape sociale per chi ha avuto un contratto di lavoro a tempo determinato.
Nel caso di un lavoratore a cui è scaduto un contratto a termine, è sufficiente aver maturato almeno 18 mesi di assunzione nei 36 mesi precedenti la scadenza del contratto per rientrare comunque nell’Ape sociale.
I disoccupati e l’Ape sociale, ecco le regole per la domanda di pensione
Riguardo ai disoccupati che intendono chiedere l’Ape sociale, ci sono vari aspetti da considerare, derivanti anche da pronunce dei Tribunali. Che, non di rado, contrastano l’interpretazione dell’INPS.
Per esempio, alcune sentenze sottolineano come non sia strettamente necessario aver effettivamente percepito la Naspi per poter accedere all’Ape sociale. Alcuni giudici hanno dato ragione a lavoratori a cui l’INPS aveva respinto la domanda di pensione per il solo fatto che, pur avendone diritto, non avevano usufruito della disoccupazione indennizzata dall’INPS.
In sostanza, per alcuni ermellini, la Naspi da percepire per intero va considerata in corso di fruizione. Se un lavoratore sta prendendo la Naspi, è naturale doverla terminare prima di passare all’Ape sociale, perché le due prestazioni non sono cumulabili. L’importante è aver perso il lavoro involontariamente, come richiedono le casistiche precedentemente citate.
Chi, per esempio, non presenta domanda di Naspi entro i 68 giorni dal licenziamento, perde il diritto a tale prestazione. Ma ciò non significa automaticamente perdere il diritto all’Ape sociale, qualora siano comunque soddisfatti gli altri requisiti.
Sentenze che spesso danno torto all’INPS
Un’altra sentenza riguarda proprio la perdita del lavoro per scadenza del contratto. In base a questa pronuncia, che ha dato ragione al ricorrente e torto all’INPS, la rioccupazione tramite contratti di lavoro a termine di durata inferiore a sei mesi non impedisce l’accesso all’Ape sociale. In altre parole, lo stato di disoccupazione non viene meno per contratti di breve durata.
Sebbene, per avere diritto all’Ape sociale, sia necessario trovarsi in stato di disoccupazione a seguito della cessazione involontaria del rapporto di lavoro (licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale), questi vincoli non vanno riferiti all’ultimo impiego se si tratta di un rapporto lavorativo di durata inferiore a 6 mesi. Un contratto così breve viene considerato neutro, ossia non fa perdere lo stato di disoccupazione.
Come è noto, però, nonostante le sentenze, le regole di interpretazione dell’INPS rimangono univoche. Le pronunce dei giudici, pur creando precedenti utili a sostenere eventuali ricorsi di altri contribuenti, non modificano l’orientamento ufficiale dell’Ente.