Ormai la riforma delle pensioni ha assunto i connotati da soap opera, tante sono quelle che possono essere definite puntate di un film che da anni va avanti senza sosta. Proposte, idee, ipotesi e poi sempre al punto di partenza, con la riforma Fornero ancora viva e vegeta nonostante i progetti di superarla o cancellarla. L’ultima puntata è quella di quota 84, una nuova misura che sembra sia adesso sul tavolo dell’Esecutivo Meloni in vista del varo della manovra di fine anno.
“Salve, più che una domanda vi voglio porgere un mio particolare quesito su cui chiedo il vostro parere. Ieri non si faceva altro che leggere di quota 84, solo per le donne. Una nuova misura che partirebbe dai 64 anni di età con 20 anni di contributi. Una sorta di pensione anticipata contributiva per le donne, e naturalmente per le donne che non rientrano in quella misura che già esiste.
Mi domando, ma che senso ha? Ma non è solo la quota 84 a farmi riflettere. Perché lo stesso ho pensato fin da subito di quota 41 per tutti (e se uno non ha 41 anni di contributi a cosa serve?), di quota 96, del DDL 857 di Cesare Damiano e così via dicendo, cioè man mano che arrivavano nuove ipotetiche misure per la riforma delle pensioni. Ma non sarebbe più facile allargare la pensione anticipata contributiva a 64 anni di età e 20 di contributi anche a chi ha lavorato da prima del 1996? Tanto alla fine se si obbliga il pensionato a prendere una pensione più bassa, sarà lui a scegliere il da farsi.”
Cosa si potrebbe fare per riformare le pensioni
Il pensiero del nostro lettore ci trova perfettamente in accordo.
Tante le proposte che negli anni sono state presentate per la riforma del sistema previdenziale
Effettivamente sono state sempre tantissime le proposte di riforma del sistema che si sono susseguite nel tempo. Il lettore cita il DDL 857 di Cesare Damiano quando era Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. In quella proposta, che resta accantonata in uno dei cassetti delle stanze dei bottoni, si parlava di uscita a 62 o 63 anni, ma con un taglio lineare di pensione in base agli anni di anticipo rispetto ai 67 anni di età della pensione di vecchiaia ordinaria. Un taglio del 2, 2,5 o 3% ad anno. Stando a quel meccanismo, uscendo a 62 anni, cioè 5 anni prima dei 67, bisognava lasciare tra il 10 ed il 15% di pensione.
Perfino quota 41 per tutti deve essere penalizzante
Anche l’ultima versione di quota 41 per tutti va nella stessa direzione delle penalizzazioni obbligatorie per i pensionati. Stavolta non con taglio lineare ma con ricalcolo contributivo. In questo caso la perdita dipende dall’ammontare degli anni di contributi che il lavoratore ha accumulato prima del 1996, che è l’anno in cui entrò in vigore il sistema contributivo. Significa che un lavoratore che ha 18 o più anni di versamenti al 31 dicembre 1995, al posto di ricevere un calcolo contributivo per i periodi di lavoro fino al 2012, dovrebbe rinunciarvi.
La flessibilità parte dalle penalizzazioni di assegno
Ma come già detto, ormai non c’è misura o proposta, che non ha delle controindicazioni dal punto di vista del calcolo degli assegni pensionistici. Perché la flessibilità di una misura di pensionamento anticipato la si ottiene solo barattando qualcosa con l’uscita anticipata. Se non ci fossero tagli e penalità non ci sarebbe nemmeno la tanto agognata flessibilità. Perché chiunque sceglierebbe la pensione al lavoro se non rimette nulla dal punto di vista degli importi. Ecco perché la soluzione di un allargamento della pensione anticipata contributiva a che a chi non è contributivo, potrebbe davvero fare al caso di chi deve riformare il sistema.
Come funziona la quiescenza anticipata per i contributivi puri di 64 anni di età
I lavoratori e i loro rappresentanti pretendono di poter uscire prima dal lavoro. Lo Stato è disposto a varare misure che agevolino le uscite, ma deve considerare anche la spesa pubblica. Due posizioni distanti, che trovano convergenza solo di fronte a nuove misure flessibili e penalizzanti. Sarebbe anche una questione di equità, perché chi decide di restare al lavoro deve poter ottenere qualcosa in più di chi invece decide per anticipare la pensione. Oggi la pensione anticipata contributiva si centra con 64 anni di età e con 20 anni di contributi, ma rispettando anche due condizioni aggiuntive.
La prima è che il primo contributo a qualsiasi titolo versato deve essere successivo al 31 dicembre 1995. Perché si tratta di una misura che riguarda i cosiddetti contributivi puri. E poi c’è l’altra condizione che è quella dell’importo della pensione che non deve essere inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale (1.409 euro circa al mese per il 2023). Limando quest’ultimo vincolo, e quindi abbassando la soglia minima di pensione da raggiungere, si potrebbe allargare la misura anche a chi non rispetta la prima condizione aggiuntiva.
Estendere la pensione anticipata contributiva anche ai retributivi
Deve essere il lavoratore a calcolare cosa ci rimette di pensione uscendo a 64 anni e non a 67 anni. Perché deve capire cosa lascia nel rifiutare il calcolo retributivo uscendo a 67 anni, anticipando di 3 anni la pensione. Ecco il principio cardine della flessibilità, con l’opzione che deve spettare sempre al lavoratore. Ecco perché non è campata in aria l’idea del nostro lettore di utilizzare l’attuale pensione anticipata contributiva per tutti per riformare il sistema. A maggior ragione se si considera che anche limandolo al ribasso, il vincolo della pensione minima esclude molti lavoratori dal perimetro di questa misura. E per lo Stato e la sua voglia di risparmiare soldi, non è certo una cosa da non considerare.