Pensione di garanzia per i giovani, altro fumo negli occhi?

Si discute di pensione di garanzia per chi uscirà dal lavoro nel sistema contributivo puro. Scenari agghiaccianti per chi non ha un lavoro continuo e ben pagato.
3 anni fa
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La pensione di garanzia torna alla ribalta come tema di discussione della riforma pensioni. I sindacati premono perché nella legge di bilancio 2022 sia inserita una norma che la istituisca, ma i dubbi e i retroscena si accavallano.

La politica, si sa, è l’arte dell’inganno. In Italia i politicanti lo sanno bene e ora ne parlano compiaciuti. Soprattutto se occorre addolcire qualche pillola amara da mandar giù con la prossima riforma pensione che magari, all’ultimo, taglierà fuori pure quota 102.

Pensione di garanzia per i giovani, fra illusioni e realtà

La pensione di garanzia per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 è un dovere civico e istituzionale. Non fosse altro che la riforma Dini ha soppresso l’integrazione al trattamento minimo di pensione per coloro che non possono vantare contributi versati prima del 1996.

Ricadere a tutti gli effetti nel sistema contributivo puro è penalizzante rispetto a quanto accade per il calcolo delle pensioni retributive o miste. Se si avrà la fortuna di terminare la propria carriera lavorativa senza interruzioni e con retribuzioni in crescita, la pensione sarà per i giovani d’oggi il 50-55% dello stipendio, secondo le attuali stime.

Ma se la carriera lavorativa sarà costellata, come nella maggior parte dei casi, da lavori discontinui, contratti part time, sottopagati e da periodi di disoccupazione più o meno lunghi, allora quel 50-55% potrebbe diventare un miraggio.

La pensione di garanzia, cioè un assegno minimo vitale è quindi necessario onde evitare lo sprofondamento di una intera classe lavoratrice nella povertà fra una decina d’anni.

Quando e come andranno in pensione i giovani

Attualmente le vie d’uscita dal lavoro per chi rientra nel sistema contributivo puro, in assenza di correzioni da parte del legislatore, saranno quattro. Vediamole:

  • Pensione a 64 anni con 20 di contributi (solo se si raggiunge il limite minimo di 2,8 volte l’assegno sociale);
  • Pensione a 68-69 anni con 20 di contributi (solo se si raggiunge il limite minimo di 1,5 volte l’assegno sociale);
  • Pensione a 73 anni con almeno 5 anni di contributi;
  • Pensione anticipata con 44-45 anni di contributi indipendentemente dall’età (oggi siamo a 41-42 anni e 10 mesi).

Per tutti non esiste una integrazione al trattamento minimo.

Serve quindi una pensione di garanzia che salvaguardi almeno l’importo minimo vitale.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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