La pensione di vecchiaia prevede l’accesso alla pensione oltre un certo limite di età e a prescindere dai contributi versati. Tuttavia il decreto legge Salva Italia n.201/2011 (articolo 24 comma 4) concede la possibilità a chi vuole incrementare l’importo della pensione, di lavorare fino a 70 anni. Tra gli scopi che hanno accompagnato la promozione della legge anche la possibilità di mantenere in servizio personale esperto per trainare le nuove leve alleggerendo al contempo la spesa per lo Stato per alcuni anni.
I sindacati si sono opposti con veemenza a questa norma sebbene Tito Boeri, che nel 2011 non era ancora presidente dell’Inps, avesse spiegato che “
coloro che ritardano l’andata in pensione in realtà aumentano la probabilità di un giovane di trovare lavoro, perché contribuiscono a ridurre il prelievo fiscale e contributivo sul lavoro che serve in gran parte a pagare la pensione a chi ha potuto ritirarsi dalla vita attiva prima di loro”. Lavoro fino a 70 anni: serve il consenso del datore? Ma perché parlare di una norma introdotta nel 2011? Perché in questi anni la sua applicazione non è stata agevole come la chiarezza del testo porterebbe a pensare. Di fronte alla volontà espressa di rimandare la pensione di vecchiaia, restando in attività fino a 70 anni, non di rado i lavoratori hanno dovuto fare i conti con il rifiuto da parte dell’azienda.
Lavoro fino a 70 anni: quando il licenziamento è illegittimo Viene da chiedersi dunque se, aldilà dell’espressione usata dal testo del decreto legge, rimandare la pensione di vecchiaia fino a 70 anni sia un diritto o solo una possibilità subordinata al consenso del datore di lavoro. Gli esiti delle cause dei lavoratori che hanno fatto ricorso contro il licenziamento sono stati diversi a seconda dei tribunali e questo ha contribuito ad aumentare i dubbi. Su richiesta di una grande azienda, che ha osservato come la chiarezza su questo argomento fosse importante per l’ “
assetto degli equilibri del sistema pensionistico di una determinata categoria”, le Sezioni Unite hanno stabilito che l’accordo tra lavoratore e impresa è necessario.
Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria ha espresso soddisfazione così come anche i sindacati.