Con la ripresa dell’attività parlamentare si avvicina anche il nodo da sciogliere per la riforma pensioni. I prossimi appuntamenti del governo con i sindacati saranno cruciali per capire quale direzione sarà presa per rivedere il sistema pensionistico. Anche se, un quadro più preciso, lo avremo a fine mese quando ci sarà la nota di aggiornamento del Nadef e la presentazione della legge di bilancio.
Tuttavia, stanti gli obietti prioritari dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, appare sempre più evidente che il capitolo pensioni sarà secondario.
Opzione Donna verso la fine?
Fra i possibili ritocchi, in rampa di lancio c’è la proroga di Quota 103 per altri 12 mesi. Ma anche un allargamento di Ape Sociale ad altri lavoratori gravosi e pensioni più flessibili per le donne. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, tutti pensano a un ripristino dei requisiti ante riforma 2022 di Opzione Donna. Come noto, la legge di bilancio 2023 ha ristretto notevolmente l’accesso alla pensione anticipata delle lavoratrici con questo meccanismo introducendo severe restrizioni. E le uscite sono letteralmente crollate.
Difficile, tuttavia, immaginare che il Parlamento abbia sbagliato e che sia pronto a un passo indietro. Non lo ha mai fatto nessuno in politica. Piuttosto c’è da pensare a quale alternativa che, alla fine sia più conveniente dell’attuale misura prevista per Opzione Donna. Che, fra le altre cose, così com’è, potrebbe benissimo non essere più rinnovata a fine anno e terminare la sua corsa dopo quasi 20 anni di vita.
Ma cosa c’è da aspettarsi dalla riforma pensioni, ammesso che si rivedrà qualcosa? Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato chiaro: coi ritmi di denatalità attuali non ci sarà riforma pensioni che tenga in futuro.
Ape Sociale come alternativa alla pensione rosa
In questo senso, con la modifica dei requisiti di Opzione Donna lo scorso anno, tutto sembra deporre per una convergenza della misura verso Ape Sociale. I requisiti soggettivi da possedere per la pensione anticipata sono più o meno gli stessi: essere caregiver, invalide civili o disoccupate.
Per quanto riguarda l’età anagrafica, la pensione con Ape Sociale si ottiene a 63 anni, mentre con Opzione Donna a 60. Al contrario, i contributi richiesti sono meno per Ape Sociale (30) e di più per Opzione Donna (35). Anche il calcolo della pensione è differente: col metodo contributivo puro nel caso di Opzione Donna e con il metodo retributivo e contributivo (misto) per Ape Sociale.
Differenze che potrebbero essere sfruttate dall’esecutivo a proprio vantaggio con la prossima riforma pensioni per le donne. Nel senso che Opzione Donna è diventata, di fatto, un doppione di Ape Sociale e non è conveniente perché il metodo di calcolo della pensione è penalizzante. Oltretutto i tempi di attesa della pensione sono di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per quelle autonome.
Nessun vantaggio per le donne che vanno in pensione prima
Così l’eventuale mancato rinnovo di Opzione Donna spalancherà le porte ad Ape Sociale come misura residuale per andare in pensione prima. Lo Stato avrà eliminato un’altra deroga pensionistica, tanto invisa a Bruxelles, e scontentato migliaia di lavoratrici per l’anticipo pensionistico è penalizzante.
D’altra parte Ape Sociale non è una vera e propria pensione, ma uno scivolo verso la stessa a 67 anni e che scatta al compimento di 63 anni di età. C’è poi il tetto massimo dell’assegno che è di 1.500 euro lordi al mese e il divieto di rivalutazione che in tempi di elevata inflazione è molto importante.
Riassumendo…
- Opzione Donna potrebbe terminare la sua corsa a fine anno.
- Per le lavoratrici resterebbe solo la possibilità di Ape Sociale come uscita anticipata.
- Ape Sociale non è una pensione e prevede l’uscita a 63 anni di età, anziché a 60.
- L’anticipo pensionistico è più penalizzante di Opzione Donna.