Per andare in pensione servono almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, in base alle deroghe Amato e Dini degli anni 90 è possibile ritirarsi dal lavoro anche solo con 15 anni di contribuzione alle spalle.
Sono esclusi dal pensionamento in deroga con 15 anni di contributi coloro che hanno versato contributi solo dopo il 1995. Quindi i così detti contributivi puri. Ma sono tagliati fuori anche coloro che hanno lavorato ininterrottamente pur guadagnando poco (part time, ad esempio). Ma vediamo innanzitutto come si va in pensione con 15 anni di contributi.
In pensione con 15 anni di contributi
Il meccanismo si rifà ad alcune deroghe che risalgono agli anni 90, quindi ancor prima della riforma Fornero del 2011. Sono valide sia per i lavoratori dipendenti che per quelli autonomi al raggiungimento dei 67 anni di età.
Una di queste è la deroga Amato che permette di ottenere la pensione di vecchiaia con almeno 15 anni di contributi a determinate condizioni. Cioè aver maturato 15 anni di contribuzione prima del 31 dicembre 1992.
Questa opzione è esercitabile anche per coloro che non hanno 15 anni di contributi prima del 1992, ma hanno ottenuto dall’Inps l’autorizzazione ai versamenti volontari prima di tale data. Fa fede la data di rilascio della autorizzazione, anche se i contributi sono versato dopo.
Infine è possibile accedere alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi anche con la deroga Dini del 1995. Chi opta per questa soluzione, però, deve mettere in conto che la pensione sarà erogata interamente con il sistema di calcolo contributivo. E quindi estremamente penalizzante. Il requisito è quello di possedere meno di 18 anni di contributi, avere almeno un contributo accreditato prima del 31 dicembre 1995 e avere almeno 5 anni di contributi accreditati dopo il 1996.
Niente assegno per domestici e familiari
Fra gli altri requisiti da rispettare ve n’è uno in particolare che riguarda il tipo di copertura contributiva. In particolare – spiega l’Inps – i lavoratori che accedono alla pensione in deroga devono poter vantare almeno 25 anni di assicurazione IVS a condizione di essere stati occupati per almeno 10 anni per periodi di tempo inferiori a 52 settimane l’anno.
Concetto ribadito anche dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 26320 del 7 settembre 2022 analizzando la reiezione di una domanda di pensione di una collaboratrice domestica (colf). Nella fattispecie, la stessa aveva complessivamente maturato un’anzianità contributiva di 790 settimane. Inferiore alle 1.040 settimane stabilite dalla Riforma Amato, ma superiore alle 780 settimane richieste secondo la disciplina pensionistica previgente.
La domanda era stata però respinta dall’Inps perché la colf aveva lavorato nel periodo di tempo in esame con un contratto a tempo pieno. Non integrando, pertanto, i requisiti per l’attivazione della deroga ed essendo irrilevante, come sosteneva invece l’interessata, che le settimane contributive accreditate per ciascun anno di lavoro fossero inferiori a 52 per effetto della bassa retribuzione percepita.
La lavoratrice, insoddisfatta della valutazione dell’Istituto, aveva quindi proposto ricorso presso le Corti di Merito risultando vittoriosa salvo soccombere innanzi al Giudice di Cassazione che ha accolto la tesi dell’Inps.
La tesi della Corte di Cassazione
Secondo i supremi giudici, infatti, la pensione con 15 anni di contributi riguarda esclusivamente particolari attività lavorative. Attività che, per non coprire l’intero anno solare, non potevano far maturare la maggiore contribuzione richiesta dalla normativa.
L’orientamento della Cassazione fa chiaramente riferimento a quella norma di legge che tende a tutelare con la deroga Amato. Quindi con il più favorevole regime previdenziale, i lavoratori non occupati per l’intero anno solare e non già i lavoratori che, sebbene occupati nell’intero anno solare, possano anch’essi far valere una minore contribuzione.
Nell’ordinanza sono citate, ad esempio, le attività prestate nell’agricoltura o le attività stagionali la cui particolare natura, come noto, non consente di prestare l’attività lavorativa per l’intero anno.
In sostanza, secondo la Corte di Cassazione, il beneficio del pensionamento di vecchiaia con 15 anni di contributi anziché 20 anni non può essere riconosciuto a tutti indistintamente. Ma solo a quei lavoratori che, pur potendo far valere un’anzianità assicurativa di 25 anni, sono stati impiegati nel decennio di riferimento in regime di part-time orizzontale, lavoro a domicilio, lavoro domestico e che, pertanto, hanno subito una contrazione dell’anzianità contributiva al di sotto delle 52 settimane l’anno.